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“Ma quali pensioni d’oro, qui resta poco da tagliare”

tre anziane si asciugano la fronte con un fazzoletto
La revisione del sistema pensionistico fa venire i sudori freddi a molti pensionati italiani. Keystone / Franco Silvi

I tagli al sistema pensionistico italiano non piacciono ai sindacati che minacciano uno sciopero dei nonni nel caso in cui il Governo non dovesse fare dietrofront.

I primi di giugno sono stati applicati i tagli al sistema pensionistico italiano. Numerose sono state le manifestazioni di protesta in tutto il paese. I pensionati delle maggiori sigle sindacali, dalle piazze, hanno invocato a gran voce lo sciopero generale per il prossimo ottobre se il governo non farà un passo indietro. Al grido di “stop ai tagli allo stato sociale”, i pensionati del sindacato FNP CISL minacciano inoltre lo ‘sciopero dei nonni’. Braccia incrociate in famiglia per un giorno.

Pensioni d’oro, ma non solo

Attraverso la sospensione della perequazione (l’adeguamento) del valore nominale delle pensioni all’inflazione, il governo M5S-Lega preleverà, in tre anni, 3,6 miliardi dagli assegni di 5 milioni di pensionati a partire da chi percepisce 1’500 euro mensili lordi (poco più di mille euro netti).

Il prelievo è progressivo, pressoché ininfluente sulle pensioni più basse, fino a divenire sostanziale per le pensioni d’oro, quelle superiori ai 100’000 euro l’anno, l’obiettivo dichiarato del Governo ed in particolare del Movimento 5 stelle (i pensionati ‘privilegiati’ perderanno oltre 100 euro netti al mese).

Tuttavia, le pensioni d’oro sono un magro bottino. Una platea molto ristretta, circa 25’000 persone. I miliardi provengono dalla maggioranza dei pensionati che non navigano di certo nell’oro. La spesa media per una famiglia italiana è di 2’500 euro mensili, il provvedimento inizia a tagliare partendo da circa la metà di questo reddito.

Politiche (troppo?) espansive

Ad eccezione dell’impopolare esecutivo tecnico guidato da Mario Monti – l’unico ad aver adottato politiche di contenimento della spesa pubblica e di spending review – i successivi governi Letta, Renzi e Gentiloni si sono orientati, al contrario, verso politiche espansive (in debito), con l’obiettivo di aiutare le fasce più svantaggiate della popolazione, sperando così di rilanciare l’economia.

Matteo Renzi propose 80 euro mensili a sostegno dei redditi più bassi e altri contributi ‘una tantum’ come il bonus bebè (inizialmente circa 800 euro per ogni nascituro). Il ‘governo del cambiamento’ di Lega e M5s non è in discontinuità con queste politiche. Anzi, rincara la dose con le più ambiziose e onerose misure del reddito di cittadinanza e quota cento. I sussidi individuali non hanno finora portato benefici tangibili all’economia del Paese, ma hanno piuttosto – secondo i critici – distratto risorse dallo stato sociale.

La disoccupazione giovanile, arrivata alla soglia del 50%, l’alta evasione fiscale, la precarietà contrattuale, riducono il volume dei contribuenti. Lavoratori attivi e pensionati sorreggono il paese ed a fronte di maggiori tasse ricevono sempre meno servizi. La sanità italiana, stimata anche all’estero per essere pubblica, equa e universalistica, è ormai a carico delle famiglie per oltre un terzo. Anche in questo caso gli anziani sono i più penalizzati. Mentre per i più piccoli si riducono i posti negli asili nido pubblici.


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