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Governo svizzero e materie prime: un sonno lungo cinque anni

Redazione Swissinfo

Il Consiglio federale continua a sottrarsi alla necessità di regolamentare il commercio delle materie prime. È questo il sunto delle critiche di Andreas Missbach, rappresentante della ONG Public Eye, al rapporto governativo su un settore spesso al centro delle critiche.


A fine novembre, cinque anni dopo il suo rapporto di base sulle materie primeCollegamento esterno, il governo svizzero ha pubblicato un riesame della situazione, dal titolo ‘Il settore svizzero delle materie prime in Svizzera: situazione e prospettiveCollegamento esterno‘. Nonostante gli innumerevoli scandali che hanno coinvolto imprese di commercio di materie prime con sede a Ginevra e a Zugo, il Consiglio federale è riuscito di nuovo a evitare di adottare misure efficaci contro i rischi di corruzione e di altro genere. Ancora una volta, si limita ad auspicare un “comportamento integro e responsabile” da parte di Glencore e compagni.

Andreas Missbach di Public Eye
Andreas Missbach di Public Eye. Marion Nitsch/zvg

Nel 2013, il Consiglio federale parlava perlomeno chiaro: in particolare menzionava le “serie problematiche, ad esempio in relazione ai diritti umani e alla situazione ambientale nei Paesi esportatori, alla lotta contro la corruzione nonché al fenomeno della ‘maledizione delle risorse’ nei Paesi in via di sviluppo”. Tuttavia, il governo non ha preso tali problematiche abbastanza sul serio da spingerlo a proporre misure normative efficaci per contrastarle. Ha ignorato anche le preoccupazioni del parlamento: dal 2015 il Consiglio federale ha raccomandato l’adozione di una sola delle otto proposte, fra mozioni e postulati, presentate alle Camere federali.

Coerentemente dalla parte delle aziende

In questo senso, la “rivalutazione” del 2018 è assolutamente coerente, poiché si concentra sul rafforzamento della “competitività” della piazza economica svizzera. A questo tema sono dedicate cinque misure rispetto alle due del rapporto del 2013. Tra le altre cose, il governo propone di esaminare l’introduzione di una “imposta sulla stazza” (tonnage tax), in virtù della quale le compagnie di navigazione sarebbero tassate esclusivamente in base al volume delle loro navi e non in funzione dei profitti realizzati. Ai pesi massimi delle materie prime come Vitol, Glencore o Trafigura – tutte e tre le aziende possiedono grandi flotte – la misura offrirebbe una scappatoia fiscale di dimensioni colossali.

Laddove nel rapporto si parla di corruzione, un ambito in cui la necessità di agire è particolarmente urgente, cercare misure concrete è un esercizio vano. La Segreteria di Stato dell’economia (SECO) vuole semplicemente “sensibilizzare” le aziende e a questo scopo – accipicchia! – l’anno scorso ha riattualizzato un opuscolo.

Il ritmo degli scandali del settore non è affatto diminuito. Al contrario: la corresponsabilità dei commercianti svizzeri con posizioni dominanti a livello mondiale nella continua e dilagante “maledizione delle materie prime” emerge con grande evidenza a intervalli regolari. Che si tratti di accordi sulle materie prime con oligarchi in Congo o Kazakistan, delle rivelazioni dei Paradise Papers o del gigantesco caso di corruzione attorno alla compagnia petrolifera brasiliana Petrobras, le pratiche rischiose delle “nostre” aziende attive nel “commodity trading”, che si servono di intermediari ambigui o stringono relazioni con persone politicamente esposte per accedere a mercati lucrativi, saltano regolarmente all’occhio.

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Inerzia politica

Tuttavia, l’inerzia politica della Svizzera non è passata inosservata: nella sua valutazione sulla politica anticorruzione, l’OCSE lo scorso marzo ha invitato il nostro Paese a sottoporre finalmente il suo commercio di materie prime a “una regolamentazione adeguata e vincolante”. Le autorità giudiziarie degli Stati Uniti e del Brasile hanno avviato indagini sulle pratiche commerciali di Glencore, Trafigura, Vitol & Co.

Anche l’unica misura giuridica adottata dal 2013 – la divulgazione dei pagamenti delle aziende attive nel settore delle materie prime ai governi dei paesi produttori – rischia di degenerare in una vera e propria farsa. Il Consiglio federale intende assoggettare a nuove regole di trasparenza soltanto l’estrazione di materie prime. E questo nonostante il fatto che la stragrande maggioranza delle imprese svizzere sia attiva nel commercio di materie prime.

La misura riguarderebbe solo 4 delle 544 imprese del settore. I miliardi che affluiscono nelle agenzie governative dei paesi dalla corruzione endemica al momento dell’acquisto di materie prime, in particolare di petrolio, rimangono occulti. Questo facilita enormemente l’arricchimento delle oligarchie e del loro entourage. Spetta ora al Consiglio degli Stati (la Camera dei Cantoni), che si occupa della questione l’11 dicembre, il compito di correggere la scandalosa omissione.

Per quanto riguarda i diritti umani, il Consiglio federale si gloria di un vademecum sull’attuazione dei Principi guida dell’ONUCollegamento esterno per le imprese e i diritti umani nel commercio di materie prime, elaborato da un gruppo di lavoro composto da rappresentanti delle imprese commerciali, delle loro organizzazioni di lobby, delle organizzazioni non governative e dell’amministrazione.

La fine del volontarismo

Public Eye è stata coinvolta in questo processo multilaterale. Dopo anni di ritardi e discussioni infinite con un’industria interessata più a correggere la propria immagine che a risolvere i problemi, la guida è stata pubblicata all’ultimo minuto. Ma anche in materia di diritti umani il Consiglio federale si affida al puro impegno volontario: i commercianti di materie prime possono decidere a loro piacimento se e come applicare i principi guida dell’ONU. L’iniziativa sulla responsabilità delle impreseCollegamento esterno, d’altro canto, obbligherebbe anche questo settore ad alto rischio ad attuarli. E grazie alla guida, le aziende saprebbero come fare.

Il tempo della fatale dipendenza dalle azioni volontarie dovrebbe essere finito. Cinque anni fa, il Consiglio federale vedeva ancora un “rischio di reputazione” nel “comportamento delle imprese domiciliate in Svizzera”, ma oggi – contro tutte le evidenze – non lo fa più. Se la Berna federale tuttavia continua a dormire il sonno degli ingiusti, è solo questione di tempo prima che, come nel caso della piazza finanziaria, sia nuovamente necessario agire sotto la pressione dell’estero.

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Traduzione dal tedesco: Andrea Tognina

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