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Reddito di cittadinanza tra utopia e realtà

manifestanti brandiscono un cartello con la scritta Lavoro
Riuscirà il reddito di cittadinanza a dare una spinta all'economia italiana? (nella foto una manifestazione del sindacato Fiom nel 2010 a Roma) Keystone

Malgrado la bocciatura di Bruxelles, su cui nelle ultime ore sta mediando il presidente del Consiglio Conte, il Governo italiano non ha nessuna intenzione di rinunciare alle misure cardine della manovra economica. Sull'applicazione del reddito di cittadinanza restano aperti però molti interrogativi.

Dieci miliardi di euro: tanto dovrebbe costare l’introduzione del reddito di cittadinanza. L’obiettivo primario del Movimento 5 Stelle è una delle misure che più pesano sulla manovra economica presentata dal Governo Conte, assieme alla riduzione delle tasse e all’abbassamento dell’età pensionabile (quota cento), riforme care alla Lega.

La bocciatura il 21 novembre della proposta di bilancio 2019 da parte della Commissione Europea e la possibile apertura di una procedura per deficit eccessivo, sono state accolte con un’alzata di spalle da parte del Governo italiano. La manovra, nei suoi punti fondamentali, non si tocca, anche se negli ultimi giorni i due vicepremier, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, hanno mostrato disponibilità a un compromesso, in particolare in merito al previsto deficit al 2,4% per il prossimo anno.


Come funziona la misura

Luigi Di Maio sostiene che l’introduzione del reddito di cittadinanza eliminerà la povertà in Italia e la da già per realizzata. Anche se non c’è ancora nessuna certezza sui tempi della sua applicazione. In un primo momento si è parlato dell’inizio del nuovo anno, poi il varo è scivolato alla prossima primavera, ma anche questa data resta in dubbio.

La riforma prevede un sussidio per i disoccupati che ha fatto subito discutere per l’alto importo mensile previsto: 780 euro, il più alto d’Europa: contro i 530 della Francia e i 400 di Germania e Regno Unito. Tuttavia, questo sostegno economico dovrebbe intervenire nei periodi d’inattività lavorativa, consentendo ai disoccupati di sostenersi in attesa di un nuovo impiego.

Nella fase di ricerca, il percettore del reddito avrebbe l’obbligo di partecipare ai colloqui di lavoro e, pena la revoca del sussidio, avrebbe la possibilità di rifiutare al massimo tre offerte di lavoro sgradite, prima di essere costretto ad accettare una. Una volta ottenuto il posto di lavoro, l’erogazione del reddito cesserebbe.

Un’applicazione con molti interrogativi

In linea di principio il discorso fila ma la sua applicazione lascia aperti molti interrogativi. Il reddito di cittadinanza dovrebbe essere gestito dai 556 centri per l’impiego pubblici, in capo alle varie regioni italiane, attraverso un software unificato che ancora non è stato presentato. Inoltre, i centri sono sotto-dimensionati e deficitari già per la normale amministrazione.

Il personale è carente e poco specializzato. Le varie sedi non sono collegate tra loro, non c’è una banca dati univoca. Secondo gli addetti ai lavori con l’onere del reddito di cittadinanza gli uffici verrebbero investiti da una mole di lavoro tale da mettere a dura prova l’intero settore se non addirittura provocarne il collasso.

Il governo ha previsto un intervento di ammodernamento dei centri per l’impiego, con lo stanziamento di due miliardi di euro che sembrerebbero, però, insufficienti. E’ previsto inoltre un aumento del personale che andrebbe però ad elidersi con gli effetti di un’altra misura presente nella stessa manovra finanziaria: “quota cento”, un meccanismo di abbassamento dell’età pensionabile che se avrà successo i centri per l’impiego si spopoleranno ulteriormente.

Ad ogni modo per arrivare ad una efficienza minima bisognerebbe integrare gli attuali 8 mila impiegati dei centri per l’impiego con almeno altri 50 mila. In Germania ce ne sono 100 mila.


Impossibile altrimenti gestire il sussidio, assistere i beneficiari dell’assegno, controllare se questi ultimi vadano realmente ai colloqui di lavoro. Per di più, il Ministro dello sviluppo economico Di Maio, nel tentativo di evitare abusi, ha fissato alcuni paletti che rendono la misura ulteriormente articolata.

Il sistema di gestione dovrebbe essere in grado di non consentire ai beneficiari del reddito di cittadinanza, di sperperarlo in acquisti superflui o immorali: via quindi i negozi di Hi Tech, di scommesse e gioco d’azzardo e, curiosamente, anche i negozi non italiani, il che potrebbe voler dire anche quelli etnici.

Infine, resta da chiarire il problema più grande. La disoccupazione giovanile in Italia è mediamente stabile al 30 percento, con punte al 50 al sud. Ogni percettore del reddito avrebbe la possibilità di rifiutare fino a tre proposte di lavoro non gradite senza perdere diritto al sussidio.

Si tratta di nove milioni di disoccupati e le offerte di lavoro però scarseggiano – tanto più che gli impieghi proposti dovrebbero essere limitrofi al proprio domicilio – e le poche opportunità che si presentano in una data località non passano necessariamente dai centri per l’impiego. Lo scorso anno ad esempio, da una stima ottimistica solo 3 impiegati su cento hanno trovato lavoro grazie ai centri per l’impiego.

Secondo le statistiche in Italia si trova lavoro principalmente per chiamata diretta, attraverso la propria rete di conoscenze o tramite i giornali specializzati e le riviste di annunci di lavoro. Le edicole delle grandi città ne sono tappezzate. Si tratta principalmente di quindicinali che sopperiscono alle carenze del pubblico che al contrario non fa molta ricerca.

L’Italia spende meno degli altri Paesi UE per i servizi inerenti al mercato del lavoro: lo 0,04% del Pil, inferiore allo 0,36% della Germania, allo 0,25% della Francia e anche al più contenuto 0,14% della Spagna”.

I centri per l’impiego che funzionano meglio sono quelli che in autonomia hanno fatto rete e costruito sinergie con le agenzie private, gli enti pubblici e l’industria. Ma sono troppo pochi per immaginare di trasporre un tale affiatamento su scala nazionale.

E gli analisti temono che, se la macchina del reddito di cittadinanza non dovesse girare alla perfezione, tutto si risolverà in una misura puramente assistenzialistica, costosa e che non farà girare l’economia e aumentare il PIL come sostiene il governo.

 

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