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Diplomazia e aiuto allo sviluppo sotto lo stesso tetto

Il ministro elvetico degli esteri Didier Burkhalter vuole accelerare l'unificazione di ambasciate svizzere e uffici della cooperazione allo sviluppo in una quarantina di paesi Keystone

Il Ministero svizzero degli affari esteri vuole riunire uffici della cooperazione allo sviluppo e ambasciate. Un passo importante verso una maggiore coerenza della politica estera elvetica, per alcuni esperti. Ma le organizzazioni non governative temono un indebolimento dell'aiuto allo sviluppo.

“L’obiettivo è di avere una sola rappresentanza in ogni paese. Questo si farà tramite l’integrazione degli uffici della cooperazione allo sviluppo (DSC) nelle ambasciate oppure, laddove c’è solo un ufficio della DSC, trasformandolo in rappresentanza della Svizzera”, ha dichiarato il 20 agosto il segretario di Stato per gli affari esteri Yves Rossier alla Radio e televisione svizzera.

Rivelato in margine alla conferenza annuale degli ambasciatori, il piano di riorganizzazione della rete di rappresentanze elvetiche, che sarà attuato progressivamente entro il 2017, mira a coordinare meglio le attività della Svizzera all’estero. E quindi ad evitare le contraddizioni che a volte sorgono tra promozione economica e difesa dei diritti umani o aiuto allo sviluppo.

“Facciamo l’ipotesi che sosteniamo nello stesso paese una società mineraria svizzera e un programma per definire meglio le condizioni di gestione delle miniere. Se queste attività non sono coordinate, potrebbe esserci rimproverato di cancellare con la mano sinistra ciò che facciamo con la mano destra”, argomenta Yves Rossier.

“Positivo per l’immagine della Svizzera”

Il direttore di Alliance Sud, l’organizzazione ombrello delle sei grandi organizzazioni non governative (ONG) svizzere, Peter Niggli è “molto scettico” sul cambiamento e paventa un indebolimento della politica elvetica di cooperazione allo sviluppo. “Si può temere che quando ci saranno divergenze, come nell’esempio citato da Rossier, gli interessi economici e geostrategici della Svizzera prevarranno su qualsiasi altra considerazione”, pronostica.

Finora, la Svizzera ha fatto parte del gruppo di paesi che conduce una politica di aiuto allo sviluppo indipendente da importanti interessi nazionali e che si focalizzata sulle esigenze dei paesi in via di sviluppo, ricorda Niggli. “Questa politica adesso è in pericolo”.

Il presidente del Forum di politica estera svizzera (foraus), Nicola Forster, relativizza queste preoccupazioni: “Tali conflitti di interesse non sono frequenti nella politica estera elvetica. Ed esistevano già, non si assisterà ad un vero cambiamento di paradigma”. Anche per l’ex segretario di Stato per gli affari esteri Franz von Däniken, il progetto va nella giusta direzione: “È positivo per l’unità d’azione, il coordinamento e l’immagine della Svizzera all’estero”.

Le preoccupazioni sollevate dalle ONG non sono giustificate agli occhi di Franz von Däniken. “La difesa degli interessi economici della Svizzera e le attività di aiuto allo sviluppo sono assolutamente compatibili. Nel lungo periodo, è nell’interesse dell’economia elvetica che i paesi del Sud si sviluppino”. Egli cita l’esempio del Mali, dove per ora le attività di cooperazione allo sviluppo prevalgono, ma che in futuro potrebbe essere interessante per delle aziende svizzere.

Creata nel 1961, la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) dipende dal Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE).

Comprende sia l’aiuto d’urgenza e alla ricostruzione sia la cooperazione allo sviluppo nel lungo periodo. Il Corpo svizzero di aiuto umanitario (CSA), che interviene in caso di disastro, è parte integrante della DSC.

Nel 2012, la DSC ha speso 1,85 miliardi di franchi per le sue azioni. Impiega circa 1500 persone in Svizzera e in tutto il mondo.

Oltre ai suoi progetti, sostiene programmi di organizzazioni multilaterali e cofinanzia progetti di organizzazioni umanitarie svizzere e internazionali.

Il Segretariato di Stato dell’economia (SECO) è l’altro attore statale svizzero di aiuto allo sviluppo.

Nel giugno 2012, il parlamento svizzero ha deciso di innalzare l’aiuto pubblico allo sviluppo allo 0,5% del reddito nazionale lordo entro il 2015. Con questo tasso, la Svizzera si colloca nel mezzo del plotone dei paesi donatori europei.

Significativo cambiamento di cultura

D’altronde, il desiderio di abbattere il muro tra il Ministero degli affari esteri (DFAE) e la DSC è anteriore all’arrivo di Didier Burkhalter, nel 2011, alla testa della diplomazia elvetica. Negli ultimi anni ci sono già state riunificazioni nei settori delle risorse umane e della comunicazione.

E già nel 2003, l’allora ministra Micheline Calmy-Rey aveva annunciato l’intenzione di rafforzare l’unità di azione della Svizzera all’estero. “La DSC è stata a lungo un regno autonomo e lo è ancora parzialmente in materia di bilancio”, osserva Nicola Forster. “Un significativo cambiamento culturale, tuttavia, si è verificato nel 2008, quando Martin Dahinden è subentrato a Walter Fust a capo della DSC. Adesso Didier Burkhalter e Yves Rossier vogliono accelerare questa integrazione e veramente costruire una politica estera più coerente. “

A lungo considerata un luogo privilegiato di terzomondisti, la DSC è mutata negli ultimi anni, rileva Nicola Forster: “Il personale della DSC e quello del DFAE hanno ora il sentimento di difendere gli stessi interessi, non solo quelli del proprio servizio. La resistenza al cambiamento è certamente ancora presente, ma i vantaggi di una migliore cooperazione sono evidenti”. Il presidente del foraus sottolinea poi che negli ultimi anni sono già stati realizzati progetti di integrazione all’estero, sui quali è possibile appoggiarsi.

Peter Niggli riconosce che tali progetti pilota finora non portato esperienze negative: “In Nepal e in Mozambico è andata bene. Ma queste riunificazioni saranno ora effettuate in paesi molto più interessanti dal punto di vista economico per la Svizzera e le sue imprese. Penso in particolare alla Birmania, dove l’integrazione rischia di causare problemi”.

In una risposta scritta a swissinfo.ch, il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) precisa che l’integrazione delle ambasciate e degli uffici della cooperazione svizzera allo sviluppo (DSC) risponde alla volontà di apparire all’esterno come “una sola Svizzera”.

“Una politica estera ben coordinata e integrata è la chiave per la tutela efficace degli interessi della Svizzera. Essa consente di garantire la migliore visibilità possibile del nostro Paese sulla scena internazionale”, afferma il DFAE.

Tutte le attività di politica estera in un dato paese sarà così assicurato in un unico luogo, sotto la responsabilità generale del capo missione. Il mandato della DSC, chiaramente definito dal parlamento, non sarà alterato da queste misure di integrazione, puntualizza il DFAE. “Si tratta di raggiungere una maggiore efficienza nella cooperazione internazionale, che è una componente importante della politica estera svizzera”.

Soprattutto a causa degli imperativi di bilancio, la rete delle rappresentanze svizzere all’estero è “oggetto di costante valutazione”, secondo il DFAE, il quale tiene a precisare che questo progetto di integrazione non è legato alle chiusure di consolati annunciate negli ultimi anni. “Nel campo consolare, le misure – adottate dal 2011 – erano finalizzate a conseguire risparmi attraverso la riunificazione di questi servizi in seno a centri regionali. Queste riunificazioni sono state ripartite su più anni e si concluderanno nel 2014”.

(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)

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