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Nessun casaro svizzero per Cuba: è storia

Il direttore dei Documenti Diplomatici Svizzeri Sacha Zala. cortesia

Come trasformare le montagne di carta prodotte in oltre un secolo e mezzo di relazioni diplomatiche con gli altri paesi in fonti scelte per gli storici e perle per i curiosi? La ricetta dei Documenti Diplomatici Svizzeri.

È il 1964. Il governo cubano vorrebbe che un casaro svizzero si recasse sull’isola per trasmettere il suo sapere alla gente del luogo. Nella lettera che invia a Berna, l’ambasciatore elvetico ribadisce quanto Cuba tenga alla faccenda e schizza il ritratto del volontario ideale che dovrebbe se possibile parlare spagnolo o inglese, non lasciarsi turbare troppo da un certo caos amministrativo e organizzativo, sopportare un cambio d’alimentazione ed essere in grado di resistere al fascino delle donne cubane anche nella solitudine delle campagne. Naturalmente, il casaro dovrebbe essere insensibile alle dure critiche rivolte agli USA dai giornali e dai politici cubani ed astenersi dal commentare la politica interna dell’isola.

Un’altra nota diplomatica rivela che «sfortunatamente» la ricerca di un casaro non è andata a buon fine: gli esperti del settore temono le conseguenze di un viaggio a Cuba; lavorano con i contadini svizzeri e ai contadini svizzeri la politica rivoluzionaria cubana non piace.

«Scottanti», queste lettere che documentano un pezzo di politica estera e di storia sociale svizzera non lo sono più da un pezzo (e forse non lo sono mai state), però hanno un loro fascino. Non è il fascino del segreto a cui tiene Wikileaks, ma quello del testo selezionato, contestualizzato ed etichettato, del documento che non va perso nel mare magno dei dati oggi in circolazione. Il lavoro di etichettatura è opera dei Documenti Diplomatici Svizzeri (DDS) che dal 1972 a oggi hanno curato l’edizione di migliaia di documenti riguardanti la storia della politica estera svizzera. Pensati per fornire materia prima agli storici, i DDS hanno sfruttato le nuove tecnologie per raggiungere anche un pubblico più vasto. Intervista al direttore Sacha Zala.

swissinfo.ch: Tra gli addetti ai lavori – e non solo in Svizzera – i DDS godono di un’ottima reputazione. In un’epoca in cui tutto sembra ormai trovarsi in rete, che cosa offrite di così eccezionale?

Sacha Zala: La rilevanza. Il nostro grande merito è quello di pubblicare solo 600 documenti l’anno e non 600’000. Pubblicarne 600’000 sarebbe molto più facile: basterebbe mettere qualcuno davanti ad uno scanner e chiedergli di digitalizzare dei fondi completi. Il problema è che se nessuno si dà la pena di scegliere ed indicizzare i documenti, il pagliaio resta un pagliaio e gli aghi non si trovano.

Il nostro obiettivo è proprio quello di scegliere, etichettare e collegare tra loro i documenti. Siamo un gruppo di storici e lavoriamo in base a criteri scientifici. Quello che ci domandiamo – sia per la versione stampata del nostro lavoro, sia per la banca dati – è: questo documento è rilevante per la ricerca storica o no?

Alla rilevanza scientifica dei documenti, si aggiunge la struttura chiara della nostra banca dati che permette delle ricerche efficienti.

swissinfo.ch: Il vostro lavoro è pensato soprattutto per gli storici, ma cercate anche di raggiungere il grande pubblico. Pubblicate ad esempio dei dossier legati all’attualità, come i 150 anni dell’Unità d’Italia e i 50 anni di cooperazione e aiuto allo sviluppo svizzeri. È una strategia pagante?

S. Z.: Non vogliamo rincorrere l’attualità, il nostro è un progetto storico che segue rigorosi criteri scientifici. Però se possiamo, ci piace dare visibilità alle perle che si trovano nella nostra banca dati. E il riscontro c’è.

Questi dossier ci permettono di avere una certa presenza sui media. Ogni volta che ne pubblichiamo uno, le visite al sito aumentano. Il numero di utenti non dice nulla sulla qualità scientifica del nostro lavoro, però ha una sua importanza: in questo progetto è investito del denaro pubblico e più ampia è la fetta di popolazione che raggiungiamo e interessiamo, meglio è.

L’attualità ci offre l’occasione di uscire dalla cosiddetta torre d’avorio e di mostrare che la ricerca storica può essere utile per capire il presente. Due anni fa, quando è scoppiata la crisi con gli Stati uniti per questioni legate al segreto bancario, abbiamo pubblicato un comunicato nel quale illustravamo come già negli anni cinquanta del Novecento ci fossero stati screzi con gli USA in merito alla politica fiscale. Ecco, ci sono momenti in cui una banca dati come la nostra è molto utile per mostrare le costanti e le radici di problemi che ci interpellano ancora oggi.

swissinfo.ch: Nel 2010 avete collegato la banca dati dei DDS al portale Europeana. Perché?

S. Z.: Europeana – la biblioteca digitale voluta dall’Unione europea – è un progetto che ha un grande futuro, perché rispetto ai motori di ricerca tradizionali a vocazione commerciale garantisce la qualità delle informazioni. E questo è importante soprattutto per i non esperti, i comuni cittadini.

Mettere la nostra banca dati in questa biblioteca virtuale ha dei vantaggi per noi – che possiamo dare una più ampia diffusione a documenti svizzeri – e per gli utenti di Europeana che in un unico sito trovano di più e più in fretta che cercando altrove.

swissinfo.ch: Lavorate con documenti diplomatici, ma non siete Wikileaks, rispettate la legge. Prima di avere accesso alle segrete carte dovete attendere che abbiano 30 anni. E in alcuni casi, come ad esempio per il dossier sulle relazioni con il regime sudafricano durante l’apartheid, gli archivi restano chiusi. Questo vi crea dei problemi?

S. Z.: La questione è complessa. Per ovvie ragioni scientifiche sono un fervente sostenitore della libertà di ricerca che è garantita dalla Costituzione svizzera. È comunque anche legittimo che uno stato abbia dei segreti e che li protegga. In una democrazia degna di questo nome la questione è limitare al minimo assoluto ciò che è legittimo mantenere segreto. Prendiamo ad esempio i piani di costruzione del ridotto nazionale; se fossero ancora attuali, andrebbero protetti; non lo sono più e quindi devono essere accessibili.

Il problema nasce laddove invocando la sicurezza nazionale si tenta di coprire altre cose. Secondo me, nel caso del Sudafrica, la chiusura degli archivi non è giustificata ed è, anzi, politicamente controproducente. Detto questo: nell’amministrazione complessa di uno stato moderno come la Svizzera, le decisioni per essere attuate lasciano tracce dappertutto e i segreti non sono poi tanto segreti. A ciò si aggiunge che la Svizzera non ha molto da nascondere, non ha promosso dei colpi di stato in America latina, non ha dato il via ad azioni militari…

Facendo dei paragoni a livello internazionale direi che il nostro progetto di ricerca gode del vantaggio fondamentale di non dipendere da istanze politiche: la decisione ultima sui documenti da pubblicare spetta a me che sono un libero ricercatore e non un funzionario. La Legge federale sull’archiviazione si orienta a degli standard internazionali e prevede sostanzialmente che i documenti siano accessibili dopo un periodo di protezione di 30 anni. Purtroppo, negli ultimi anni, la Legge federale sulla protezione dei dati, pensata per gli affari correnti, è applicata in maniera sempre più restrittiva anche per l’accesso a documenti storici. I difensori della libertà della ricerca non hanno una loro lobby e l’accesso alle fonti storiche diventa sempre più difficile e burocratico. Un paese dagli alti valori democratici come la Svizzera dovrebbe stare più attento a tener vivi questi valori e non farli soffocare in un mare di cavilli legali.

I Documenti Diplomatici Svizzeri (DDS) sono un centro di ricerca storica nato nel 1972 come progetto d’edizione di fonti ufficiali utili allo studio della politica estera e delle relazioni internazionali della Svizzera.

Oggi i DDS sono un’impresa dell’Accademia svizzera di scienze morali e sociali. Li dirige lo storico Sacha Zala. Possono contare su otto collaboratori scientifici che scelgono, commentano e pubblicano i documenti rilevanti tra i tanti presenti nell’Archivio federale svizzero.

Il progetto è sostenuto anche da due istituzioni statali, l’Archivio federale svizzero e il Dipartimento federale degli affari esteri, ma è politicamente indipendente. Una commissione di professori di tutte le università svizzere presieduta da Hans Ulrich Jost ne garantisce le basi scientifiche.

Finora sono stati

pubblicati 22 volumi

per un totale di più di circa 15’000 documenti relativi al periodo 1848–1963.

La banca dati Dodis contiene la versione digitale di circa 6000 documenti, informazioni su più di 30’000 persone, 13’000 organizzazioni e 3500 luoghi geografici.

Manca però l’apparato critico dei volumi a stampa pubblicati dai Documenti Diplomatici Svizzeri.

Da giugno 2010, il contenuto di Dodis è stato integrato nel portale europeana.eu.

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