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Nagorno Karabakh al centro della visita turca

Abdullah Gül è stato eletto presidente della Turchia nel 2007. Reuters

Ufficialmente i due presidenti, Abdullah Gül e Doris Leuthard, affrontano giovedì "temi d'attualità". Di fatto discutono essenzialmente del conflitto del Nagorno-Karabakh tra l'Armenia e l'Azerbaigian, che ostacola la ratifica dei due protocolli turco-armeni, firmati a Zurigo 13 mesi fa.

Sfoggia quasi sempre il sorriso e gli piace ricordare che porta il nome di un fiore: “Gül” significa rosa. Il presidente della Repubblica di Turchia è apparso più conciliante del suo primo ministro, Recep Tayyip Erdogan, nettamente più quadrato. Ma in sostanza, sul contenzioso turco-armeno, le opinioni dei due uomini si differenziano ben poco.

In buona posizione

Abdullah Gül arriva a Berna in un momento favorevole. Le relazioni tra la Svizzera e la Turchia sono notevolmente migliorate negli ultimi anni e il governo turco ha registrato successi economici e politici. L’unica ombra è costituita dal cambiamento di rotta diplomatico di Ankara, intervenuto dopo la firma dei protocolli turco-armeno, il 10 ottobre 2009 a Zurigo.

Il governo turco del Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP) ha rafforzato la sua base democratica (con la vittoria del “sì” alle modifiche costituzionali proposte nel referendum del 12 settembre).

L’economia turca ha resistito abbastanza bene alla crisi mondiale. Il suo tasso di crescita infatti ammontava al 5,6% nel 2009. Il paese è diventato un elemento essenziale della politica energetica nella regione e nel mondo. La Svizzera ha firmato, alla fine del 2009 a Istanbul, un accordo per la fornitura di risorse energetiche dal Caspio e dall’Iran attraverso la Turchia.

Accolta nel G20, la Turchia figura ormai fra le potenze emergenti di cui si deve tener conto. Ankara non nutre sentimenti di rancore nei confronti di Berna, mentre ha tensioni con la Francia e la Germania, paesi che si oppongono decisamente all’integrazione della Turchia nell’Unione europea.

Infine, il ministro degli affari esteri turco Ahmet Davutoglu ha dato prova di attivismo diplomatico su tutti i fronti. La sua dottrina della “profondità strategica” e del “nessun problema” con i vicini ha dato risultati disparati (piuttosto positivi con Russia, Iraq, Siria, Serbia e Bosnia, ecc.; piuttosto negativi con Israele e Cipro). Comunque la volontà, anche se talvolta un po’ ingenua, c’è.

Ma un nodo è rimasto

È in questo spirito che, dopo lunghi anni di trattative e contatti segreti, il governo turco l’anno scorso ha firmato i protocolli di Zurigo. Obiettivo: riallacciare le relazioni diplomatiche con l’Armenia e riaprire la frontiera comune, chiusa dai turchi nel 1993 in seguito all’occupazione armena del Nagorno-Karabakh, enclave cristiana in Azerbaigian. Ciò senza tuttavia offrire alcuna soluzione a questo conflitto.

Se Ahmet Davutoglu aveva qualche speranza di raggiungere uno “zero problem” con la vicina Armenia, deve aver dimenticato che quest’ultima aveva “many problems” con l’Azerbaigian. Baku ha preso così posizione contro i protocolli, contro la normalizzazione tra Turchia e Armenia che la priverebbe di un mezzo di pressione su Yerevan e convaliderebbe l’occupazione del Nagorno-Karabakh.

Partner energetico di primo piano per la Turchia, Baku ha minacciato Ankara di chiudere i rubinetti del gas. Sotto pressione azera, il primo ministro turco, all’indomani della firma dei protocolli, ha fatto retromarcia e ha condizionato la loro ratifica alla soluzione del problema del Nagorno-Karabakh.

Ufficialmente, l’Armenia ha congelato il processo di ratifica. Ma i presidenti della Confederazione Doris Leuthard e della Turchia Abdullah Gül hanno recentemente lasciato intendere che i lavori proseguivano nella discrezione.

Secondo alcuni profondi conoscitori del dossier, non è escluso che il governo turco preveda di ratificare i protocolli, dopo la sua probabile vittoria alle elezioni legislative del luglio 2011.

Oggi, il presidente della Repubblica turca potrebbe chiedere alla diplomazia svizzera – in linea con gli Stati Uniti, che cercano di limitare l’influenza russa nella regione – di aiutarlo a trovare una soluzione che soddisfi sia Ankara sia Baku, un altro importante partner energetico per la Svizzera.

Situazione delicata

Si tratta di una carta delicata da giocare per Berna, che potrebbe cercare di allinearsi alla dichiarazione finale del vertice della NATO a Lisbona dello scorso fine settimana.

Vale a dire, favorire il principio di integrità territoriale dell’Azerbaigian a scapito del diritto dei popoli all’autodeterminazione (gli armeni che vivono nell’enclave del Nagorno-Karabakh).

E, una volta risolta la disputa territoriale, domandare il riconoscimento del genocidio armeno alla responsabilità degli storici. Una formula che andrebbe abbastanza bene ai turchi, ma che mette in apprensione la maggior parte degli armeni.

I turchi hanno bisogno di un reale successo politico.

Le relazioni diplomatiche tra Turchia e Israele, deterioratesi già dal 2008, hanno raggiunto quest’anno un punto di non ritorno.

Nel dicembre 2008, il primo ministro turco Erdogan non aveva affatto apprezzato il modo di fare del primo ministro israeliano Ehud Olmert, che pochi giorni dopo il loro incontro organizzato per tentare una mediazione con la Siria, aveva lanciato – senza informare Erdogan – una vasta operazione militare nella striscia di Gaza.

Il primo ministro turco aveva espresso la sua collera un paio di mesi più tardi in occasione del Forum economico di Davos, accusando il presidente Simon Peres di non aver fatto abbastanza per evitare vittime civili a Gaza.

La Turchia ha in seguito sospeso alcune manovre aeree congiunte con Israele e ha dato il via libera a un’organizzazione umanitaria islamica che intendeva forzare il blocco di Israele trasportando aiuti ai palestinesi di Gaza a bordo della Mavi Marmara.

La barca è però stata intercettata dall’esercito israeliano, il cui intervento costò la vita a nove cittadini turchi.

L’impossibilità di Ankara di svolgere un ruolo da mediatore tra Israele e il mondo arabo è stata vissuta con un certo malessere dall’amministrazione Obama e dall’Europa. Un’insoddisfazione accentuata dal rifiuto della Turchia di votare, nel mese di giugno all’ONU, una serie di sanzioni contro l’Iran.

La ripresa del processo di pace turco-armeno e la risoluzione del conflitto del Nagorno Karabakh potrebbero consentire alla diplomazia turca di far dimenticare, almeno in parte, questi passi falsi.

(Traduzione dal francese)

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