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Marchi che non conoscono la crisi

Prima di essere commercializzata, la Tête de Moine è affinata per almeno tre mesi nei caseifici delle montagne giurassiane Keystone

I primi marchi DOP e IGP in Svizzera sono stati attributi oltre 10 anni fa. I due label hanno dato un impulso importante alle vendite di una trentina di prodotti svizzeri e negli ultimi anni hanno permesso di arginare gli effetti della crisi.

I produttori di Tête de Moine possono sfregarsi le mani. Negli ultimi dieci anni il caratteristico formaggio prodotto nel Giura ha registrato un aumento delle vendite del 50% (2’151 tonnellate nel 2010), mentre la percentuale destinata all’esportazione è cresciuta da poco meno del 40% al 60%. La Tête de Moine è ormai il quinto formaggio svizzero più esportato.

Negli ultimi tre anni, la crisi ha provocato una certa stagnazione. Comunque, malgrado il franco alle stelle, nel 2011 le esportazioni sono ancora aumentate dello 0,3%. 

Dal primo dicembre scorso, la Tête de Moine e altre specialità svizzere usufruiscono anche di una protezione supplementare, grazie all’accordo tra Svizzera e Unione Europea sul riconoscimento delle denominazioni di origine controllata/protetta e delle indicazioni geografiche protette (vedi riquadro).

Argomento di marketing

La Denominazione di origine protetta, attribuita nel 2001, non è estranea al successo di questo formaggio che si consuma a ‘rosette’, ottenute con la cosiddetta ‘girolle’, uno strumento a coltello orizzontale inventato trent’anni fa.

«Il fatto di avere questa distinzione permette di comunicare meglio, soprattutto nei paesi del sud dell’Europa che hanno già una certa cultura per quanto riguarda queste denominazioni, di dare una certa garanzia ai consumatori e anche di giustificare un prezzo un po’ più elevato», spiega Olivier Isler, responsabile dell’associazione interprofessionale dei produttori della Tête de Moine.

«Il marchio DOP ha permesso di mantenere una dinamica di crescita, che era già iniziata negli anni ’80. Naturalmente non è però l’unico fattore che spiega il successo del nostro formaggio».

La cultura dei marchi DOP/IGP si sta sviluppando anche al di fuori dei confini tradizionali rappresentati dai paesi latini, osserva dal canto suo Alain Farine, direttore dell’Associazione svizzera dei DOP-IGP. «Cominciano ad essere conosciuti anche in Germania, Gran Bretagna o in Cina, dove vi sono molti prodotti DOP».

Un vantaggio soprattutto in termini di marketing: «Un prodotto DOP o IGP ha una storia e delle caratteristiche che lo differenziano dai prodotti standard. Il posizionamento marketing è quindi dato quasi per definizione», sottolinea Farine.

Le esportazioni riguardano principalmente i formaggi. Per evidenti ragioni di prezzo, gli altri prodotti DOP/IGP fanno fatica ad essere smerciati all’estero. Una caratteristica comune, comunque, a tutta l’agricoltura svizzera. Per ora, solo la carne secca grigionese (IGP dal 2000) ha un mercato internazionale di una certa importanza: su 1’850 tonnellate prodotte, circa 850 sono esportate.

«Il prezzo limita naturalmente il campo d’azione. Comunque a livello strategico, l’associazione ombrello del settore Pro Carne sta cercando di far conoscere le specialità svizzere anche all’estero e tra i dieci prodotti faro che mette in avanti, cinque hanno il marchio IGP», osserva Farine.

Mercato interno

I marchi possono costituire un argomento di vendita importante anche sul mercato interno. Gli esempio del Saucisson Vaudois e della carne secca vallesana sono in questo senso significativi: «Da quando questi due prodotti hanno ricevuto l’IGP nel 2004, vi è stata una crescita del 60%; anche i produttori non si aspettavano un simile incremento», indica Farine.

Il direttore dell’Associazione svizzera dei DOP-IGP è invece meno sorpreso da questa evoluzione: «Questi marchi non sono sinonimo di standardizzazione del prodotto, come pensano alcuni. Bensì permettono di aumentare il livello di qualità e allontanare le pecore nere».

Il marchio da solo però non basta. Nei casi del Saucisson Vaudois e della carne secca vallesana, ad esempio, i produttori hanno creato delle strutture per promuovere, tutti assieme, la loro specialità.

Non tutto è rosa

«Non è perché un prodotto è protetto che le vendite aumentano automaticamente. Ci vuole una strategia chiara e bisogna darsi i mezzi per poter realizzare le proprie ambizioni», sottolinea Farine.

Alcune piccole filiere hanno registrato la loro specialità senza guardare oltre e senza preoccuparsi di instaurare una collaborazione tra i diversi produttori. Alain Farine menziona l’esempio della salsiccia d’Ajoie, nel nord del canton Giura. «I macellai della regione hanno chiesto l’IGP per proteggere la loro salsiccia e evitare che altre macellerie del cantone potessero utilizzare questa denominazione. All’epoca vi erano una quindicina di macellerie che producevano questa salsiccia, oggi sono rimaste in nove. La produzione stagna e i macellai non hanno i mezzi per pagare un segretario che si occupa della promozione. Se all’epoca avessero avuto un po’ più di ambizione, magari includendo nell’IGP tutto il Giura, la situazione forse sarebbe diversa».

Il rischio è anche che questi marchi rappresentino un ostacolo in un mercato in cui il gusto dei consumatori e le mode possono cambiare molto velocemente.

«Effettivamente proteggere un ‘terroir’ e determinati processi di fabbricazione significa anche limitare il potenziale di innovazione del prodotto, osserva Olivier Isler. Ad esempio, noi non possiamo produrre una Tête de Moine probiotica (organismi vivi che hanno un effetto benefico, ndr) perché c’è un trend del mercato che va in questo senso. Ogni marchio che si rispetta è legato a certi obblighi e il nostro compito è proprio quello di comunicare al consumatore questi obblighi per fargli capire che hanno un valore e che può ritrovarli nel prodotto». Finora il messaggio è evidentemente passato.

Il primo dicembre 2011 è entrato in vigore l’accordo tra Svizzera e Unione Europea sul riconoscimento delle denominazione di origine controllata/protetta (DOC/DOP) e delle indicazioni geografiche protette (IGP).

L’accordo protegge 22 denominazioni DOP e IGP svizzere sul mercato dell’UE e oltre 800 DOC, DOP e IGP dell’UE sul mercato elvetico.

Grazie a questa convenzione, ogni tentativo di imitazione può essere contestato molto più facilmente presso le autorità competenti.

L’Emmental, protetto da una DOP in Svizzera, non è per il momento contemplato nell’accordo. Alcuni paesi (soprattutto dell’UE) con cui la Svizzera ha concluso degli accordi bilaterali in materia, riconoscono l’Emmentaler come una indicazione geografica svizzera. L’ultimo accordo di questo tipo è stato siglato con la Russia ed è entrato in vigore il primo settembre 2011.

La Svizzera e l’Unione Europea hanno previsto di ridiscutere il caso dell’Emmentaler (nonché di due IGP e un DOP francesi e tedesche che comportano la denominazione Emmental) entro due anni.

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