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Il grattacapo degli accordi per lo scambio di informazioni fiscali

Immagine persona in carcere.
Alcuni politici temono che, condividendo dei dati con degli Stati “corrotti”, la Svizzera possa mettere a loro disposizione anche le informazioni di cui hanno bisogno per attaccare i propri nemici. Keystone / EPA / Maxim Shipenkov

Lo scambio automatico di informazioni fiscali tra i paesi (SAI) è generalmente visto come un modo efficace per lottare contro gli evasori. Ma cosa fare quando uno Stato decide di utilizzare questi stessi dati per opprimere politicamente i propri cittadini? Si tratta di una questione scottante per i legislatori svizzeri.

Il parlamento svizzero ha avviato mercoledì un dibattito sull’opportunità di estendere i trattati per lo scambio dei dati fiscali a un nuovo gruppo di paesi e paradisi fiscali. La Svizzera ha già concluso 38 accordi, anche con gli Stati membri dell’Unione europea. Ma nell’ultimo gruppo che il governo dovrà ratificare – costituito da 41 paesi – vi sono anche Stati con dubbie credenziali democratiche, come Cina, Russia e Arabia Saudita.

I gruppi di difesa dei diritti civili e le banche svizzere sperano di riuscire a influenzare in qualche modo le decisioni politiche. Da una parte si teme che la Svizzera cerchi di sottrarsi ai suoi obblighi nella lotta contro l’evasione fiscale sfruttando vie traverse. Dall’altra c’è il pericolo che i dati raccolti sui clienti delle banche possano essere utilizzati abusivamente.

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Alcuni politici temono che, condividendo dei dati con degli Stati “corrotti”, la Svizzera possa mettere a loro disposizione anche le informazioni di cui hanno bisogno per attaccare i propri nemici. L’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) ha chiesto che gli accordi vengano conclusi solo con i paesi che raggiungono un determinato punteggio nell’Indice internazionale di percezione della corruzione di Transparency International.

L’UDC si è spinta oltre, puntando il dito direttamente contro Argentina, India, Brasile, Russia, Arabia Saudita, Cina, Emirati Arabi Uniti, Sudafrica, Indonesia, Messico e Colombia

L’Associazione svizzera dei banchieri (ASB), così come l’Associazione dei banchieri privati, hanno espresso preoccupazioni in questo senso. Claude-Alain Margelisch, CEO della ASB, auspica una rigorosa vigilanza sui trattati.

«È importante che questo controllo sia effettuato con molta attenzione, caso per caso e in modo pratico, basandosi su criteri chiari. Lo scambio di informazioni deve essere sospeso se vi è motivo di sospettare un utilizzo improprio», ha dichiarato all’inizio di settembre.

Le ONG auspicano più accordi

Nel frattempo, ONG come la Rete di giustizia fiscale (TJN, Tax Justice Network) e Public Eye, sono convinte che la Svizzera debba portare avanti tutti i trattati, per poi estenderli anche ad altri paesi. Come primo passo in questa direzione, la Svizzera ha aderito allo scambio automatico di dati fiscali elaborato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).

Il governo svizzero ha negoziato tutti gli accordi attualmente in discussione e raccomanda al parlamento la sua approvazione. Tirarsi indietro ora – fanno notare le ONG – vorrebbe dire che la Svizzera non è seriamente impegnata nella lotta contro l’evasione fiscale e non è in grado di mantenere le sue promesse.

Olivier Longchamp di Public Eye riconosce che ci sono legittime preoccupazioni riguardo la governance di alcuni Paesi, come ad esempio la Russia. «Sarebbe tuttavia sbagliato se la Svizzera decidesse unilateralmente di non sottoscrivere trattati con altri paesi, solo perché non rispettano gli standard svizzeri» ha dichiarato.

Il controllo della corretta attuazione dei trattati dovrebbe essere lasciato al Forum globale dell’OCSE sulla trasparenza e lo scambio di informazioni a fini fiscali, sostiene Longchamp. Questo Forum globale, composto da rappresentanti degli Stati membri dell’OCSE – tra cui la Svizzera – ha già fatto i primi passi per valutare se i paesi dispongono della legislazione e delle infrastrutture necessarie per lo scambio di dati fiscali.

Parità di condizioni?

Longchamp è anche preoccupato del fatto che la Svizzera sembri concedere una corsia preferenziale alle economie più potenti, escludendo invece i paesi in via di sviluppo che avrebbero maggiormente bisogno di gettito fiscale. «Non possiamo classificare i paesi unicamente basandoci su considerazioni economiche. Lo Scambio automatico di informazioni (SAI) al momento non è di nessuna utilità per i paesi più poveri del mondo”.

All’inizio di settembre, la commissione parlamentare svizzera per l’economia ha raccomandato ai politici di approvare i nuovi trattati SAI. Tutti tranne quello neozelandese, perché le normative fiscali del paese potrebbero penalizzare ingiustamente i pensionati elvetici che vi risiedono e che non hanno dichiarato le loro rendite di vecchiaia svizzere.

Ma la commissione ha anche raccomandato due condizioni per l’approvazione dei trattati fiscali. La prima è che il governo svizzero dovrà chiarire la propria valutazione in merito all’adeguatezza dei dati e delle protezioni dei diritti umani in vigore nei paesi prima dell’attuazione dei trattati nel 2019. La seconda è che i trattati dovranno essere firmati solo con paesi che hanno già accordi simili con centri finanziari concorrenti, come la Gran Bretagna e la Germania.

Tutto questo però non ha nulla a che vedere con TJN, secondo la quale la Svizzera è già in ritardo rispetto ad altri paesi nell’attuazione della SAI. Se non riuscirà a concretizzare i prossimi trattati, la Svizzera “dimostrerebbe che non è interessata alla piena trasparenza o alla lotta contro il denaro sporco” ha dichiarato a swissinfo.ch Andreas Knobel della TJN.


Convenzioni SAI in Svizzera

Dopo aver ratificato nel 2016 la “Convenzione multilaterale sull’assistenza amministrativa reciproca in materia fiscaleCollegamento esterno” dell’OCSE, la Svizzera ha già iniziato ad accettare lo scambio automatico di informazioni fiscali con altri paesi.

Ciò significa che le banche svizzere trasmetteranno i dati dei clienti stranieri alle autorità fiscali elvetiche, che le trasmetteranno a loro volta ai paesi con i quali è stata firmata una convenzione SAI.

Attualmente sono già stati conclusi accordi con un primo gruppo di 38 paesi. Le banche hanno iniziato a raccogliere i dati dall’inizio di quest’ anno, e saranno trasmessi ai paesi destinatari a partire dal 1° gennaio 2018. La Svizzera riceverà i dati di cittadini svizzeri con conti bancari in questi paesi.

Un secondo lotto di 41 paesi è stato approvato dal governo all’inizio di quest’anno. Se accettati, i dati saranno raccolti nel 2018 e trasmessi ai paesi beneficiari nel 2019.

Traduzione dall’inglese, Barbara Buracchio

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