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L’urlo di rivolta del canton Ticino

Più di un quarto degli impieghi in Ticino sono occupati da salariati provenienti dall'altra parte della frontiera. Keystone

Nessun altro cantone della Svizzera ha votato in modo così compatto a favore dell'iniziativa popolare "Contro l'immigrazione di massa" come il Ticino. Le ragioni: un mercato del lavoro invaso da frontalieri, strade intasate e apatia della Berna federale di fronte ai problemi ticinesi.

Il cantone italofono, situato all’estremo sud della Confederazione e incastrato tra la Lombardia e il Piemonte, nella votazione federale del 9 febbraio ha approvato l’iniziativa popolare lanciata dall’Unione democratica di centro (UDC) con la più alta proporzione del paese.

Per la precisione il 68,3% dei votanti ha detto di sì alla proposta di fissare dei limiti massimi per il numero di permessi di soggiorno in Svizzera e di reintrodurre contingenti annuali per i lavoratori stranieri. “La libera circolazione delle persone con l’UE? Basta!”: così può essere riassunto lo stato d’animo diffuso in Ticino. Si tratta di un atteggiamento che da vent’anni viene coltivato con successo dalla Lega dei Ticinesi, il movimento politico di protesta cantonale.

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Contrariamente alla Svizzera tedesca, dove ha avuto un importante ruolo l’effettivo insediamento di immigrati – per esempio dalla Germania – e i problemi ad esso legato, quali l’aumento delle pigioni e i treni affollati, in Ticino il dibattito si è completamente focalizzato sui frontalieri assunti nelle aziende locali e sui lavoratori autonomi provenienti dall’Italia. Nel testo dell’iniziativa UDC è esplicitamente indicato che i frontalieri devono essere inclusi nel computo dei tetti massimi e dei contingenti.

Esplosione di frontalieri

Il numero dei pendolari in Ticino è esploso in pochi anni, passando da 29mila a 60mila. E questo in un Cantone di 340mila abitanti. Più di un quarto di tutti i posti di lavoro sono occupati da persone che risiedono oltre confine.

Mentre una volta dalle regioni della confinante Italia venivano a lavorare in Ticino principalmente operai di fabbrica, nel corso degli anni si sono aggiunti anche molti venditori e specialisti di tecnologie informatiche. Una elevata flessibilità e una buona formazione, accompagnate da rivendicazioni salariali alquanto modeste, fanno degli italiani dei dipendenti molto interessanti per il settore terziario.

Dopo l’entrata in vigore, il 1° giugno 2002, degli accordi di libera circolazione delle persone con l’Unione europea, il 1° giugno 2007 le autorità hanno soppresso l’obbligo di residenza nella fascia di confine (20 km) per i frontalieri.

Le imprese non sono più sottoposte a quote di permessi di lavoro, né all’obbligo di preferire la manodopera nazionale al momento del reclutamento.

I lavoratori frontalieri ottengono il permesso di lavoro (G) dal momento della firma del contratto. Sono però obbligati a rientrare al proprio domicilio almeno una volta a settimana.

Negli ultimi anni, è inoltre continuamente cresciuto l’afflusso di cosiddetti lavoratori distaccati, in particolare artigiani, che possono essere attivi senza richiedere un permesso, per un massimo di 90 giorni all’anno. Idraulici, piastrellisti, falegnami, eccetera, che con i loro prezzi bassi fanno concorrenza all’edilizia locale. Gli imprenditori ticinesi hanno difficoltà a competere.

Lo spettro del licenziamento

Avversario dell’iniziativa dell’UDC, il presidente del governo cantonale Paolo Beltraminelli ritiene che l’atteggiamento del Ticino non abbia “nulla a che fare con l’essere pro o contro gli stranieri”. La causa sono i problemi sociali. L’andamento economico in Ticino fa paura: molti temono per il proprio posto di lavoro, spiega il magistrato popolare democratico.

Effettivamente, c’è tutta una serie di esempi di salariati locali che sono stati sostituiti da frontalieri (che costano meno). Perlomeno in settori in cui esistono contratti collettivi di lavoro che fissano i salari.

A differenza di Ginevra o Basilea, che sono grandi città che attirano pendolari dalle periferie circostanti, il Ticino è esso stesso una periferia della grande area metropolitana di Milano e della Lombardia con i suoi sei milioni di abitanti. Ciò rende il cantone italofono un caso speciale in termini di lavoratori frontalieri.

Riflesso anti-frontalieri

Il dumping salariale e la sostituzione di lavoratori indigeni tramite frontalieri sono così diventati una tematica permanente, tanto più che i pendolari intasano quotidianamente le strade. A causa della crisi nel proprio paese, molti italiani sono disposti a lavorare per delle paghe minime in Svizzera e a farsi lunghi viaggi tutti i giorni.

La cosa principale per loro è che in Ticino trovano un posto di lavoro. E in tutto questo anche l’enorme divario salariale gioca un ruolo importante. Una commessa mediamente in Italia guadagna il corrispettivo di circa 1’300 franchi (circa 1’060 euro) al mese, in Ticino circa 3’800 franchi (circa 3’100 euro).

Il politologo Oscar Mazzoleni è convinto che il riflesso anti-frontalieri in Ticino si sia ulteriormente acuito in parallelo alla grave crisi finanziaria ed economica che affligge l’Italia dal 2008. Regna una paura di essere ‘contagiati’ da questa crisi.

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Il freno all’immigrazione visto dai vignettisti

Questo contenuto è stato pubblicato al L’esito della votazione del 9 febbraio 2014 sull’iniziativa popolare “Contro l’immigrazione di massa”, che prevede l’introduzione di limiti massimi e contingenti annuali per gli stranieri in Svizzera, ha ispirato diversi vignettisti. Nella Confederazione, ma anche nei paesi vicini.

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Abbandonati al proprio destino da Berna

A questo si aggiunge il fatto che i ticinesi hanno la sensazione che i loro problemi vengano ignorati dalla Confederazione. Nelle ultime settimane veniva ripetuto in continuazione che Berna non prende sul serio le preoccupazioni e le paure della popolazione del cantone sudalpino. Perciò verosimilmente molti elettori hanno voluto lanciare un segnale forte attraverso le urne.

Un segnale di cui l’economia ticinese è tutt’altro che contenta. L’imprenditoria teme infatti che, con i contingenti e la reintroduzione della priorità degli indigeni nell’attribuzione dei posti di lavoro, arrivi anche un’enorme burocrazia a carico delle aziende, che in ultima analisi andrebbe a scapito della piazza ticinese.

Lavoratori specializzati sono difficili da trovare in Ticino e il settore alberghiero e della ristorazione dipendono quasi interamente da lavoratori stranieri. Il direttore della Camera di commercio del cantone Ticino, Luca Albertoni, è preoccupato: “Di certo ora c’è solo l’incertezza”, sottolinea.

Albertoni spera almeno che nell’introduzione dei contingenti i diversi gruppi di stranieri – domiciliati, frontalieri, richiedenti asilo – non vengano messi tutti nello stesso calderone.

Timori in Italia

Grande apprensione aleggia ora anche tra i frontalieri italiani. Molti soffrono di essere sempre e soltanto visti come un problema. Senza frontalieri una grossa parte dell’economia in Ticino resterebbe bloccata, ricordano.

“È un esito davvero preoccupante che evidenzia una regressione se visto nel complesso di un’Europa che deve puntare a una maggiore integrazione”, ha commentato Massimo Nobili, presidente della Provincia di Verbano-Cusio-Ossola (VCO). Il risultato della votazione popolare elvetica “va a invalidare trattati internazionali e crea un pericoloso precedente, perché può contribuire a far saltare una visione europea basata sull’abbattimento delle frontiere”, ha aggiunto.

Un risultato che non entusiasma nemmeno il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni. Il leader della Lega Nord ha tuttavia rilevato che ciò fornisce un margine di manovra per ridurre la pressione fiscale sulle imprese italiane, evitando così la migrazione oltre frontiera di una parte delle aziende.

Toni di esultanza, ovviamente, sono invece venuti dai rappresentanti dell’UDC e della Lega dei Ticinesi. Lorenzo Quadri, deputato nazionale della Lega, ha parlato di un “trionfo” e ha aggiunto che il suo partito si aspetta che la volontà del popolo venga attuata subito: “Come primo passo dovrebbero essere introdotti contingenti per i lavoratori frontalieri e i ‘padroncini’ (lavoratori autonomi, Ndr.)”.

L’unico cantone interamente di lingua italiana della Svizzera è stato a lungo piuttosto aperto in materia di stranieri. Negli scrutini federali, il Ticino votava generalmente come la Svizzera francese.

Per esempio, l’iniziativa popolare “contro l’inforestierimento”, lanciata da James Schwarzenbach, in Ticino fu respinta nel 1970 con il 63,7% di no. Si trattò del più alto tasso di opposizione tra tutti i cantoni. A livello nazionale, l’iniziativa xenofoba fu bocciata con il 54% di voti contrari.

La rottura con questa tradizione iniziò nei primi anni ’90. Nello storico referendum sull’adesione allo Spazio economico europeo, nel 1992, il Ticino si oppose con il 61,5% di no, in linea con la Svizzera tedesca. La Svizzera francese, invece, votò a favore dell’adesione.

Da allora in poi, in tutte le votazioni riguardanti la politica europea, il Ticino si è sempre pronunciato contro. Accordi bilaterali e libera circolazione delle persone tra Svizzera e Unione europea nel cantone sudalpino non sono stati digeriti. L’elettorato ha praticamente sempre seguito le raccomandazioni del movimento di protesta Lega dei Ticinesi.

Quando nel settembre 2005 si è votato sull’estensione della libera circolazione delle persone ai dieci nuovi paesi membri dell’UE, il Ticino si è opposto con il 64% no. A livello nazionale l’estensione è stata approvata con il 56% di sì.

Nell’ultima votazione riguardante l’UE, nel febbraio 2009, il 65,8% dei votanti ha respinto il mantenimento della libera circolazione delle persone e la sua estensione a Bulgaria e Romania. Si è trattato del rifiuto più massiccio tra i soli quattro cantoni – oltre al Ticino, Svitto, Appenzello Interno e Glarona – hanno detto no.

La chiara accettazione dell’iniziativa popolare “contro l’immigrazione di massa”, nello scrutinio del 9 febbraio 2014, è perfettamente in linea con il comportamento di voto dei ticinesi negli ultimi 20 anni.

(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)

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