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Le difese dell’uomo al microscopio

Lunghe ore in laboratorio per fare avanzare la scienza Samuel Golay/Ti-press

L'Istituto di ricerca in biomedicina di Bellinzona (IRB) è una delle realtà scientifiche più apprezzate della Confederazione: swissinfo.ch ha intervistato il suo direttore, l'immunologo Antonio Lanzavecchia.

Nei suoi undici anni di attività, l’Istituto – affiliato dal 2010 all’Università della Svizzera italiana e in attesa di nuovi spazi – ha saputo farsi conoscere in patria e all’estero per la qualità e i risultati delle sue ricerche.

Tra questi figurano per esempio la ricostruzione in un topo del sistema immunitario umano (2004), la scoperta del ruolo di una particolare molecola nella lotta alla sclerosi multipla (2009) e, proprio nel 2011, l’identificazione di un anticorpo capace di bloccare tutti i virus influenzali.

Ma, concretamente, di cosa si occupa l’istituto? «Studiamo i meccanismi di base delle difese immunitarie nell’uomo, ovvero le cosiddette cellule killer, le cellule infiammatorie e gli anticorpi», riassume il professor Antonio Lanzavecchia, direttore dell’IRB. Per farlo «ci sono diversi approcci, ma quello più semplice consiste – dopo un prelievo di sangue – nell’analizzare i globuli bianchi e le cellule dendritiche, ovvero quelle cellule che partecipano alla risposta immunitaria».

Un altro grande “cantiere di lavoro” – aggiunge il direttore – è lo studio della patologia nell’uomo, cioé «il rapporto tra organismo ospite e agente patogeno. Alcuni esempi: capire i meccanismi che scatenano le malattie infiammatorie croniche e le malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer».

Lotta continua

Uno dei tanti esempi dell’attività dell’istituto è il lavoro svolto sulle «cellule della memoria, definite così perché in un certo senso ricordano i virus, i batteri e i patogeni che abbiamo incontrato nel corso della nostra esistenza».

Grazie alle ricerche effettuate a Bellinzona, spiega Lanzavecchia, «sono state sviluppate delle nuove tecniche per isolare da queste cellule gli anticorpi – detti monoclonali – che sono in grado di bloccare i virus e altri agenti patogeni».

A questo proposito, una delle malattie sulle quali il progresso scientifico recente ha avuto gli effetti più visibili è l’AIDS. «Effettivamente non si tratta più di una malattia mortale come all’inizio degli anni Ottanta, poiché oggigiorno vi sono dei farmaci che permettono di tenere a freno la replicazione del virus», precisa Lanzavecchia.

Ciononostante, «si tratta di medicamenti dagli effetti molto pesanti, che devono essere assunti per tutta la vita». Il sogno dei ricercatori «è quello di trovare un vaccino che sia in grado di proteggere dalla malattia, anche se ciò sembra essere particolarmente difficile. Recentemente sono stati fatti dei progressi a livello di ricerca di base, ma il cammino è ancora lungo».

Scoprire e comunicare

Ogni volta che una di queste scoperte viene comunicata al pubblico, quasi subito ai ricercatori vengono poste domande sull’applicazione pratica e su quanto tempo sarà necessario aspettare prima della diffusione su larga scala. A questo proposito, Lanzavecchia osserva che «ogni pubblicazione scientifica costituisce un piccolo passo verso un grande obiettivo».

Spesso, continua il professore, «i media tendono ad ingigantire la portata di queste scoperte. Si tratta di un fatto piuttosto normale, quasi fisiologico; tocca agli scienziati, a quel punto, intervenire per spiegare il fine ultimo delle ricerche e situare in quest’ottica la singola scoperta».

Sempre tenendo presente «che la ricerca non torna mai indietro. Ogni progresso ci porterà ad avere in futuro migliori terapie per certe malattie, anche se purtroppo non necessariamente a breve termine».

La “solita” interdisciplinarietà

Quando si parla di ricerca scientifica, un concetto spesso ricorrente è quello di sinergia, interdisciplinarietà. Lanzavecchia ricorda però «questi aspetti ci sono sempre stati e ci saranno sempre. L’interdisciplinarietà viene sovente enfatizzata da chi finanzia la ricerca, ma è ovvio che la buona scienza ha costantemente bisogno di approcci molto integrati».

Il direttore dell’IRB, parlando del settore di sua competenza, sottolinea che «alcuni esperimenti vengono effettuati in laboratorio, lavorando sulle cellule e sul DNA, mentre per altri – quando si devono analizzare grandi quantità di dati – si fa ricorso ai computer ai supercomputer». Al di là di questo, Lanzavecchia evidenzia che «non è necessario esagerare nella difesa dell’approccio interdisciplinare, dato che tutti sono d’accordo e già lo praticano».

Buona ricerca… in periferia

L’Istituto di ricerca in biomedicina è uno dei centri scientifici d’eccellenza – oltre a strutture quali il Centro di calcolo scientifico, l’Università della Svizzera italiana e il Cardiocentro – situati in Ticino e nati in tempi relativamente recenti.

A questo proposito, Lanzavecchia formula alcune osservazioni: «Le condizioni quadro della ricerca nella Confederazione sono molto buone, tra le migliori al mondo, ma la nostra posizione periferica e piuttosto isolata ci penalizza. Nonostante la qualità riconosciuta del nostro lavoro [gran parte dei finanziamenti provengono da fondi europei e statunitensi], manca infatti la massa critica per creare qui a Bellinzona un centro di competenza per una certa specialità», conclude.

Antonio Lanzavecchia ha conseguito la laurea in medicina all’Università di Pavia dove si è specializzato in pediatria e malattie infettive. Scienziato di fama internazionale, dal 1983 al 1999 è stato membro dell’Istituto di immunologia di Basilea e dal 1999 è direttore dell’Istituto di ricerca in biomedicina di Bellinzona.

Lanzavecchia è stato professore di immunologia all’Università di Genova e all’Università di Siena. Tra i numerosi riconoscimenti, gli è stata conferita la medaglia EMBO (European Molecular Biology Organization) nel 1988 e il premio Cloëtta nel 1999.

Nel 2009 Antonio Lanzavecchia – autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche – è stato nominato professore ordinario di immunologia presso il Politecnico federale di Zurigo.

La Fondazione per l’Istituto di ricerca in biomedicina (IRB) è stata istituita nel mese di giugno del 1997 da un gruppo di persone attive nel campo medico, scientifico, economico e politico. Tra i membri fondatori figurano la Città di Bellinzona, la Banca dello Stato, l’Ente ospedaliero cantonale e la Fondazione Horten.

In un decennio d’attività, l’IRB è riuscito ad instaurare una rete internazionale di contatti e di collaborazioni importanti.

Oggi il centro conta un’ottantina di collaboratori (tra direttori di laboratorio, ricercatori di livello postdottorale, dottorandi, tecnici di laboratorio e personale amministrativo) e dispone di circa 14 milioni di franchi di fondi.

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