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L’isola di Epstein al setaccio, caccia alla cassaforte

La paradisiaca, almeno scenograficamente, isola caraibica di Little St. James. KEYSTONE/AP/GIANFRANCO GAGLIONE sda-ats

(Keystone-ATS) L’isola dei pedofili, oppure l’isola delle orge. Questa la fama di Little St. James, un angolo di Paradiso nel cuore dei Caraibi trasformato da Jeffrey Epstein in quella che i residenti delle Virgin Islands hanno da tempo ribattezzato Isle of Sin, isola del peccato.

Da quando 20 anni fa il finanziere americano, suicidatosi in carcere nel week-end, l’acquistò per farne il rifugio più remoto delle sue perversioni, lontano dai riflettori di Manhattan o di Palm Beach. Ora quell’isola è da due giorni al setaccio degli agenti dell’Fbi e degli uomini della polizia di New York, a caccia di prove che diano nuovo impulso alle indagini sugli abusi sessuali e il traffico di minorenni che Epstein aveva messo in piedi con i suoi complici.

A bordo delle golf car i federali si spostano da una parte all’altra dell’atollo e stando alle immagini riprese dall’alto da un drone avrebbero già sequestrato alcuni computer e altro materiale sistemato in alcuni scatoloni. Ma il vero colpo grosso potrebbe essere un altro: la cassaforte di acciaio che si trova nella residenza principale dell’isola e che – racconta all’agenzia Bloomberg un ex addetto della tenuta – potrebbe contenere ben altro che soldi in contanti e ben altri segreti.

A Litle St. James Epstein andava spesso e arrivò ad avere fino a cinque imbarcazioni, tra cui un ferry da 200 posti con cui ospiti e lavoranti facevano la spola dalla vicina St. Thomas. Portava molte persone e, secondo i racconti, molte giovani donne che prendevano il sole a bordo piscina in topless, mentre lui si aggirava in costume, a torso nudo e ciabatte da mare. E non tollerava di vedere intorno gli addetti alla manutenzione, ordinando che stessero il più possibile alla larga dalla villa. Eppure qualcuno giura di aver visto tra gli ospiti Bill Clinton e altri potenti.

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