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Quando gli italiani rischiarono di essere cacciati

È in libreria da poco più di un mese un libro intitolato 'Cacciateli! – Quando i migranti eravamo noi'. L'autore, il giornalista e saggista Concetto Vecchio, è nato in Svizzera tedesca da immigrati siciliani nel 1970: è l'anno in cui gli svizzeri furono chiamati a votare su un'iniziativa popolare che chiedeva l'allontanamento dal Paese di 300'000 stranieri. Intervista.

Il libro di Concetto Vecchio si muove su due piani. Il primo, storico, ricostruisce l’entrata in politica dell’editore e intellettuale James SchwarzenbachCollegamento esterno, la sua elezione in Parlamento come unico deputato di Azione Nazionale e la campagna contro l’Ueberfremdung (inforestierimento) della Svizzera, che culminò nell’iniziativa bocciata alle urne nel 1970. 

Il testoCollegamento esterno mirava a che “il numero degli stranieri in ogni Cantone” non eccedesse “il 10% dei cittadini svizzeri”, con l’eccezione di un 25% a Ginevra [le possibili conseguenze di un’attuazione sono descritte in questo RapportoCollegamento esterno dell’epoca del Consiglio federale].

L’altro piano del libro, più personale, racconta di come i genitori dell’autore approdarono nel Canton Argovia. Storie individuali che tratteggiano l’emigrazione italiana in Svizzera degli anni Sessanta, un’ondata prevalentemente del Sud, che mise ancora più in risalto le differenze culturali tra i Gastarbeiter -lavoratori ospiti, così erano chiamati- e gli indigeni.

Soprattutto, fu un’ondataCollegamento esterno enorme, che da una parte costrinse molti di questi immigrati ad accettare sistemazioni al limite dell’abitabilità, e dall’altra fomentò pregiudizi e paure (“Sono troppi, sono rumorosi, non si lavano, lavorano per pochi soldi e occupano i letti d’ospedale”) sulle quali fece leva “il primo populista d’Europa”. La cui azione, al di là del 1970, ebbe un’influenzaCollegamento esterno in senso restrittivo sulla politica migratoria.

Uomo seduto su una poltrona, accanto a una lampada a stelo; dietro, libreria
James Schwarzenbach in un ritratto del 1970. Keystone / Str

Il piano storico restituisce l’idea che quella votazioneCollegamento esterno per Schwarzenbach -nato in una famiglia di industriali calvinisti e liberali, ma convertitosi al cattolicesimo e fortemente di destra- fosse “un modo per regolare i conti con la propria storia personale e familiare”, per usare le parole dell’autore, che ha scandagliato gli appunti personali del politico, saggi, documentari e gli articoli di stampa del tempo.

TVS: Ma allora, paradossalmente, Schwarzenbach era credibile quando insisteva di non essere contro gli immigrati (all’epoca prevalentemente italianiCollegamento esterno) ma di avercela semmai con gli industriali che prosperavano sulle loro spalle?

C.V.: “No, quello è un raffinato escamotage retorico. Non poteva dirsi razzista o contro gli italiani, perché in quel tempo il ricordo della guerra, dei totalitarismi era ancora molto fresco. Quindi secondo me questa sua idea di dire ‘io mi batto per la identità elvetica, per cercare di mantenere questo paese così come lo abbiamo ereditato dai nostri padri’ sia un modo intelligente (dal suo punto di vista) per allargare la sua base sociale; altrimenti avrebbe parlato a un piccolo spicchio di persone xenofobe e razziste. In questo modo, riesce a parlare a mondi che sono lontanissimi dal suo (e da chi coltiva istinti xenofobi)”.

Nel video [in alto] le immagini dei manifesti pro e contro l’iniziativa del 1970, alcune sequenze con James Schwarzenbach e la risposta a una domanda chiave: di cosa avevano paura, in definitiva, gli svizzeri che lo appoggiarono?

Concetto Vecchio, sua madre, affidandole i suoi ricordi per scrivere questo libro, le ha raccomandato “di non parlare male della Svizzera”. Non crede di aver riferito troppo poco di quella maggioranza di svizzeri che nel 1970 affossò l’iniziativa Schwarzenbach e che in anni successivi bocciò ancor più sonoramente due iniziative analoghe?

“Non è vero che questa Svizzera non sia presente, nel mio libro. Lo è eccome: cito più volte i discorsi di Max Frisch (che in qualche modo quel mondo lo rappresentava, da grande scrittore civile, autore di quel famoso slogan “Volevamo braccia, sono arrivati uomini”) e soprattutto cito lo straordinario cineasta che fu Alexander Seiler, il cui film si intitola ‘Italiani’ e secondo me è uno dei documentari più belli sulla storia dell’emigrazione. Queste due figure credo siano rappresentative di tutto un mondo che riguardava sindacati, imprenditori, mondo cattolico che si espresse contro l’iniziativa.”

Un uomo in abito posa figli su un leggio in legno e si appresta a parlare a un gruppo di elettori su una piazzetta sterrata
James Schwarzenbach si rivolge a un gruppo di elettori e ai loro familiari nel 1970 Keystone / Str

“Però alla fine perse per soli 100’000 voti” [su poco più di 1’600’000 aventi diritto, ndr]. “Quindi mi sembravano molto più interessanti le ragioni che portarono al quasi successo di Schwarzenbach che quelle lodevoli e stimabili delle persone che vi si opposero”.

E la raccomandazione di sua madre come si spiega?

“Avevo pensato a un finale per il libro e avevo quasi finito di scriverlo quando mia madre mi telefona e mi dice ‘Non parlare male della Svizzera: io grazie alla Svizzera ho una pensione, ci hanno dato il lavoro. Pur nelle durezze di quella stagione che fu molto difficile, io alla fine sono grata’. E questo è diventato il finale, un finale in qualche modo sorprendente e spiazzante, con cui non avevo fatto i conti: in molte persone che hanno vissuto quella stagione prevale un sentimento che è oggi di gratitudine e di riverenza. Quelle stesse persone che quand’ero ragazzo, negli anni Settanta, ti rimproveravano se parlavi male dell’Italia, oggi dicono ‘io voglio essere seppellito qui, perché la Svizzera è il mio Paese”.

In altri, invece, prevale curiosamente un atteggiamento ostile verso i nuovi immigrati. Sono rientrati in Patria e pronunciano le stesse frasi di cui furono vittime un tempo.

“Questo libro finisce nel 1970 e parla soprattutto della Svizzera e dei tanti immigrati italiani. Ho volutamente evitato di parlare dell’Italia di oggi perché emergeva comunque. È un libro sulla Svizzera degli anni Settanta che sembra l’Italia di oggi”.

Concetto Vecchio, giornalista della redazione politica de ‘la Repubblica’, è autore di un saggio sul ’68 alla facoltà di Sociologia di Trento (Vietato obbedire, 2005, BUR), uno sul movimento del ’77 e il delitto Casalegno (Ali di piombo, 2007, BUR) e di Giorgiana Masi. Indagine su un mistero italiano (2017), pubblicato da Feltrinelli come Cacciateli! Quando i migranti eravamo noi (2019), che è alla terza edizione.

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