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Inferno di fuoco dal cielo blu

ESA

HD189733b, come la maggior parte degli esopianeti conosciuti, è un posto da incubo che affascina gli astronomi. Il Politecnico di Zurigo è andato alla caccia della luce riflessa dalla sua atmosfera.

Filtrare la luce della stella e far passare solo quella del pianeta: il metodo utilizzato dall’équipe di Svetlana Berdyugina è innovativo e promettente. I primi risultati non convincono però ancora gli esperti.

Nel cuore della Via Lattea, al centro del brillante Triangolo Estivo formato da Vega, Altair e Deneb, la costellazione della Piccola volpe sembra ben poca cosa. Ma è proprio una delle sue stelle nane, invisibile ad occhio nudo, ad attirare su di sé l’attenzione del mondo scientifico.

La stella è assurta agli onori della cronaca il 15 settembre 2005, quando l’Osservatorio di Ginevra e l’Osservatorio dell’Alta Provenza annunciarono di aver scoperto un pianeta nelle sue vicinanze: HD189733b, battezzato, come vuole la tradizione, aggiungendo una «b» al nome della sua stella.

14 volte più grande e 380 volte più pesante della Terra, il nuovo pianeta appartiene alla categoria dei Giove Caldi, gigantesche palle di gas che ruotano molto velocemente e ad una distanza ravvicinata intorno alla loro stella.

Impossibile viverci, questi pianeti sono dei veri e propri inferni. Non hanno una superficie solida e presentano una pressione ed una temperatura tali da annientare qualsiasi forma di vita conosciuta. L’atmosfera? Probabilmente è composta di gas tossici, mossi da venti al confronto dei quali gli uragani terrestri sono una leggera brezza.

Un’occasione unica

Eppure, per gli astrofisici HD189733b è un vero colpo di fortuna: è relativamente grande e gira intorno ad una stella un po’ più piccola del nostro sole. Anche la distanza non è eccessiva: solo – si fa per dire – 63 anni luce. Inoltre, i casi dell’allineamento hanno voluto che ogni suo transito fosse osservabile dalla Terra.

In altre parole, gli scienziati possono «vedere» il pianeta una volta ogni 53 ore, il tempo impiegato da HD189733b per fare un giro intorno alla sua stella. Le virgolette sono d’obbligo, perché anche i telescopi più potenti, in realtà, non «vedono» altro che una diminuzione d’intensità della luce della stella.

Ma ciò basta a fare del pianeta in questione un oggetto d’osservazione privilegiato. Nel maggio del 2007, un gruppo di ricercatori statunitensi è riuscito ad allestire una mappa delle sue temperature utilizzando i dati del telescopio spaziale Spitzer che osserva nell’infrarosso.

Poi, in dicembre, l’atmosfera di HD189733b è stata la protagonista di due pubblicazioni scientifiche – una preparata all’Osservatorio di Ginevra – che l’hanno studiata per mezzo delle lunghezze d’onda della luce emessa da differenti elementi chimici.

Scoperta eccezionale…

Poco dopo Natale, infine, arriva la notizia più sorprendente: l’astrofisica del Politecnico di Zurigo Svetlana Berdyugina annuncia che il suo gruppo di ricerca ha rilevato direttamente la luce riflessa dall’atmosfera dell’esopianeta. È una prima in assoluto: nessuno era mai riuscito in un’impresa simile.

Per arrivare a questo risultato, Berdyugina – che collabora con ricercatori del Politecnico di Zurigo e dell’Università finlandese di Turku – ha sfruttato dei filtri che permettono di selezionare la luce polarizzata, quella che un determinato esopianeta riflette dopo averla ricevuta dalla sua stella.

I filtri sono un modo per «spegnere» la stella e vedere soltanto la luce del pianeta, spiega Svetlana Berdyugina. «Questo ci permette di seguire il pianeta per tutta la lunghezza della sua orbita e non solo al momento del transito. Questa tecnica è molto promettente. L’applicheremo a pianeti già conosciuti, ma ci servirà anche per individuarne dei nuovi».

Al momento la composizione chimica dell’atmosfera di HD189733b è ancora sconosciuta. Ma i ricercatori del politecnico hanno potuto individuare dei sottili grani di materia che, analogamente a quello che accade per la Terra, dovrebbero dare al suo cielo un bel colore blu.

… in attesa di conferme

Per quanto frammentari, i risultati presentati dall’équipe di Svetlana Berdyugina rappresentano un passo avanti straordinario. Ma la prudenza è d’obbligo, perché non sono ancora stati confermati e non convincono tutti.

James Hough, per esempio, li giudica – usando un’espressione dimplomatica – «molto sorprendenti». Direttore di ricerca all’Università dell’Herfodshire e grande esperto di luce polarizzata, Hough spiega che «se i risultati sono corretti, allora HD189733b riflette estremamente bene la luce». Il dato è in contrasto con quanto appurato per pianeti simili «che hanno dei limiti superiori molto più bassi». Il pianeta osservato da Berdyugina e dai suoi colleghi rifletterebbe sei volte più luce degli altri Giove Caldi conosciuti.

Ma anche se i primi risultati non sembrano essere completamente affidabili, la tecnica messa a punto dalla squadra di Zurigo e Turku ha un futuro. La sua diffusione apre la caccia agli esopianeti di ogni dimensione. E un giorno, forse, qualcuno troverà un’altra Terra coronando così il sogno coltivato da generazioni di scrutatori dello spazio.

swissinfo, Marc-André Miserez
traduzione e adattamento, Doris Lucini

Gli esopianeti si trovano all’esterno del sistema solare (il prefisso eso-, così come exo-, deriva dal greco e significa “fuori”, “verso l’esterno”).

La scoperta del primo esopianeta è stata annunciata il 6 ottobre 1995 dagli svizzeri Michel Mayor e Didier Queloz, ricercatori dell’Osservatorio di Ginevra.

Oggi sono stati identificati 270 esopianeti circa. Nessun telescopio, però, è in grado di vederne uno. I metodi d’identificazione sono tutti indiretti.

La maggior parte degli esopianeti individuati appartiene alla categoria dei Giovi Caldi. Si tratta di enormi palle gassose che evolvono molto velocemente su un’orbita vicina alla loro stella.

Gli astrofisici sono convinti che la predominanza dei Giove Caldi sia dovuta ai metodi d’identificazione. In altre parole, dovrebbero esistere anche numerosi pianeti rocciosi simili alla Terra e adatti alla vita. Ma sono talmente piccoli e lontani, riflettono talmente poco la luce e hanno così poco influsso gravitazionale sui movimenti della loro stella che non siamo in grado di individuarli.

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