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Il tempo di una domanda

Solo quindici partecipanti per sedici ore di spettacolo sulla vita dei richiedenti l'asilo.

A teatro di diritto d'asilo: è la sfida che hanno raccolto una cinquantina di partecipanti per cercare di comprendere la sofferenza, l'attesa e la speranza dei rifugiati che ogni giorno bussano alla porta della Svizzera. Reportage dalla "Repubblica d'asilo".

«Mi chiamo Aimannisha e vengo dallo Xinjiang, o meglio dal Turkestan Orientale. Appartengo alla minoranza uigura di religione mussulmana. La mia terra, ricca di gas e petrolio, è controllata dal governo cinese. Un’autorità che ci è stata imposta e che il mio popolo non riconosce. Sono fuggita da sola, senza una meta precisa se non la fuga. In Cina rischio fino alla pena di morte per aver lottato a favore dell’indipendenza uigura».

La storia di Aimannisha è simile a molte altre: una storia di sofferenza e persecuzione, di sogni infranti e speranze disilluse. Il suo non è che un nome qualunque, un punto di partenza per costruire un racconto, per interpretarlo e riviverlo sulla propria pelle. L’obiettivo del comune di Chiasso – promotore dell’iniziativa “Il tempo di una domanda” – era di permettere ai partecipanti di sperimentare l’esperienza di una procedura d’asilo, dell’accoglienza e dell’attesa, guidati dagli artisti della compagnia «Campo teatrale».

A Chiasso la tematica dell’asilo è di ordinaria quotidianità: ogni mese tra le 200 e le 250 persone bussano alla porta del centro di registrazione, uno dei quattro presenti in Svizzera. «La convivenza tra popolazione e richiedenti l’asilo non è sempre facile, anche perché spesso si scontrano culture diverse e alcuni stereotipi sono duri a morire», spiega Andrea Banfi, responsabile del Dicastero dei servizi sociali di Chiasso. «Con questa iniziativa (una prima in Europa e ripetuta sull’arco di tre fine settimana) abbiamo voluto scuotere gli animi, far emergere emozioni e spingere ad interrogarsi maggiormente sul problema dei richiedenti l’asilo, con la speranza che queste persone possano trasmettere un messaggio di tolleranza».

Parola d’ordine: asilo politico

Può svanire in un attimo. Oppure essere infinitamente lungo. Per i venti partecipanti, il “tempo di una domanda” è durato poco più di 16 ore, surreali e per certi versi interminabili. Un tempo che per i richiedenti l’asilo dura in media tra i 20 e i 25 giorni, come ci spiega il direttore del centro di registrazione di Chiasso, Antonio Simona, ma che per legge può spingersi fino a due mesi.

Caricati su un furgoncino, Aimannisha e gli altri hanno attraversato le frontiere della realtà e sono stati catapultati nell’universo del diritto d’asilo. Il bunker antiatomico di Chiasso si è così trasformato in un qualsiasi centro di registrazione, in una qualsiasi città d’Europa. Ognuno con la propria identità immaginaria, hanno ripercorso le diverse tappe della richiesta di asilo, dalla registrazione alla visita medica, dal pasto comunitario alle perquisizioni notturne, dall’audizione alla decisione delle autorità.

Un’esperienza non facile, anche per chi è cosciente di poter tornare l’indomani alla propria vita e alle proprie abitudini. «Continuavo a chiedermi cosa sarebbe successo dopo, cosa mi avrebbe fatto il medico, cosa mi avrebbero chiesto durante l’audizione. Questa incertezza era davvero difficile da gestire», racconta Claudia*, una delle partecipanti al progetto teatrale.

«Abbiamo cercato di mettere l’accento sul lato umano della richiesta di asilo e non su quello prettamente politico, sulle difficoltà di comunicazione, di gestione del proprio tempo, della propria ansia o delle proprie paure», spiega il regista Luca Gatti. Vivere sulla propria pelle l’esperienza dell’incomprensione, del rifiuto e talvolta anche dell’annullamento è qualcosa che ti rimane dentro, anche una volta stracciato il passaporto di Aimannisha.

Oltre la finzione, una realtà di sofferenza

A Chiasso, i profughi non vengono accolti nel bunker della città, non vengono privati dei propri vestiti né svegliati in piena notte per un controllo. Di norma, alloggiano nel centro di registrazione gestito dall’Ufficio federale della migrazione (UFM), sotto stretta sorveglianza, ma liberi di uscire durante il giorno. Capita però che i 200 letti non bastino ad accogliere tutti i profughi e allora vengono spostati nei rifugi della protezione civile e le procedure sono accelerate per cercare di far posto a tutti.

«L’attuale struttura risale al 1996 quando il soggiorno durava da una settimana a dieci giorni. Non è più conforme alle esigenze odierne e non risponde ai bisogni del personale e degli ospiti», spiega il direttore Antonio Simona. «In queste condizioni non è sempre facile contenere le tensioni interetniche tra i richiedenti l’asilo e basta un attimo per accendere gli animi».

Il problema è noto anche alla Confederazione che a metà ottobre ha però annunciato di rinunciare alla realizzazione di un nuovo centro di registrazione, vista l’opposizione della municipalità. «Alcuni organi di informazione hanno distorto la realtà, hanno parlato di un mega centro da 700 posti quando in realtà avrebbe avuto una capienza simile a quello attuale», continua Simona. «Così facendo, hanno fatto leva sulle paure della gente, invece di informare correttamente sui problemi quotidiani di queste persone».

Iniziative come quella lanciata dal Dicastero dei servizi sociali di Chiasso cercano quindi soprattutto di avvicinare la popolazione al tema dei richiedenti l’asilo, con tutti i rischi che la finzione teatrale comporta. «È soltanto con una corretta informazione, sottolinea Simona, che la gente ha la possibilità di capire e di scegliere liberamente che tipo di politica migratoria intende sostenere».

La domanda di asilo di Aimannisha è stata accolta. Potrà restare e forse ricominciare una nuova vita. Come lei, altri dieci partecipanti hanno visto spalancarsi la porta della Svizzera. L’anno scorso 2’261 persone hanno ricevuto una risposta positiva, sulle 16’606 domande inoltrate alle autorità elvetiche. Una su otto, come a segnare l’invalicabile confine tra finzione e realtà.

*nome fittizio

Stefania Summermatter, Chiasso, swissinfo.ch

I rifugiati nel mondo sono 16 milioni (Alto Commissariato ONU per i rifugiati).

I principali paesi d’accoglienza sono Stati Uniti, Africa del Sud, Svezia, Francia e Gran Bretagna.

In Svizzera le persone che rientrano nel settore dell’asilo sono 40’794 (fine 2008).

L’anno scorso sono state inoltrate alle autorità elvetiche 16’606 richieste d’asilo (2’261 risposte positive).

La maggior parte delle persone era originaria dall’Eritrea, dalla Somalia, dall’Iraq, dalla Serbia e dal Kosovo e dallo Sri Lanka.

Alla fine del 2008, la Confederazione contava 7’701’900 abitanti (+108’400 rispetto al 2007; tasso di crescita: 1,4%). La percentuale degli stranieri è del 21,7%.

L’aumento della popolazione – dovuto in larga misura all’immigrazione – risulta essere il più elevato dagli anni Sessanta, e fa della Svizzera uno dei paesi europei più dinamici dal profilo demografico.

L’86,5% della popolazione residente permanente in Svizzera è di nazionalità europea e pressappoco due terzi (62,1%) provengono da un Paese dell’UE o dell’AELS.

La popolazione straniera più importante rimane quella degli italiani (17,5%), seguita dai tedeschi (14,1%), dai portoghesi (11,8%), dai serbi e montenegrini (11,1%). Sempre più persone provengono da Paesi lontani.

A partire dal 1980, la proporzione di stranieri provenienti da un Paese extra europeo é aumentata di 7 punti percentuali per arrivare all’attuale 13,5%.

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