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Koblet, il trionfo e la caduta di un eroe svizzero

Gioie e dolori di Hugo Koblet in un film del regista svizzero Daniel von Aarburg. pardo.ch

Era soprannominato il "James Dean" della bicicletta, un "bon viveur" dotato di tanto talento e poca disciplina. Il film-documentario di Daniel von Aarburg ripercorre la carriera di Hugo Koblet, la sua vita con la fotomodella Sonja Bühl e la sua morte prematura.

Nessuno se lo aspettava. Gli occhi di tifosi e giornalisti erano tutti puntati su Fausto Coppi e Gino Bartali. La maglia rosa non era mai uscita di casa e nulla faceva temere che nel 1950 le cose sarebbero andate diversamente.

Finché quel ciclista venuto dal nulla, cresciuto in un quartiere popolare di Zurigo, non si aggiudicò la prima tappa di Locarno, poi un’altra e un’altra ancora…. E nello stupore generale superò i grandi favoriti andando a vincere il 33esimo Giro d’Italia. Era lo svizzero Hugo Koblet, il “falco biondo”, come lo aveva soprannominato la stampa francese.

La rapida traiettoria di questo figlio di panettieri, e il dualismo con Ferdi Kübler, scatenarono in Svizzera una passione per il ciclismo mai vista prima. Grazie anche al suo fascino e alla sua eleganza, Koblet divenne la prima star internazionale dello sport svizzero.

Presentato in prima mondiale in Piazza Grande al Festival del film di Locarno, il film-documentario di Daniel von Aarburg ripercorre la carriera di questo “pédaleur de charme”, i suoi amori e le sue debolezze, basandosi su materiale d’archivio, interviste e una parte di finzione. La pellicola presenta con passione e sentimento i momenti gloriosi della vita di Koblet, ma anche quelli più difficili, come il “tradimento” di Coppi, i malanni polmonari, il divorzio dalla fotomodella Sonja Bühl e infine l’ipotesi di suicidio.

Swissinfo.ch ne ha discusso con Marco Blaser, il cronista sportivo della Rsi che portò le imprese di Koblet e Kübler nelle case e nel cuore degli svizzero-italiani. Ma non solo, perché fu proprio Blaser ad iniziare Koblet all’attività di commentatore che svolse in gran parte al suo fianco per quasi tre anni.

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Hugo Koblet, il fascino del ciclista

Questo contenuto è stato pubblicato al Vincitore del Giro d’Italia e di Francia, “bon viveur” e una morte prematura: Hugo Koblet può essere definito il James Dean della bicicletta. La rapida traiettoria di questo figlio di panettiere cresciuto in un quartiere popolare di Zurigo scatenò negli anni ’50 in Svizzera una passione per il ciclismo mai vista prima. Le sue vittorie…

Di più Hugo Koblet, il fascino del ciclista

swissinfo.ch: Da esperto sportivo e appassionato di cinema, qual è il suo sguardo sul film-documentario “Hugo Koblet – Pédaleur de charme”?

Marco Blaser: È un film molto interessante, toccante per coloro i quali hanno vissuto i momenti gloriosi del ciclismo svizzero degli anni Quaranta-Cinquanta, con lo storico duello tra Hugo Koblet e Ferdi Kübler.

Nel 1950 Kübler si aggiudica il Tour de France e Koblet vince a sorpresa il Giro d’Italia, mentre l’anno successivo Kübler diventa campione del mondo e il suo amico e rivale conquista il Tour de France. Questo dualismo, questa lotta fianco a fianco che ci ha fatto amare profondamente il ciclismo, traspare in modo sublime dal film e ci permette di rivivere un periodo molto bello.

Senza contare che “Hugo Koblet – Pédaleur de charme” viene presentato in prima mondiale proprio a Locarno, la città che ha segnato la sua prima vittoria internazionale, con il Giro d’Italia, e il suo ultimo successo nel 1958.

swissinfo.ch: La sfida più importante per Daniel von Aarburg è stata sicuramente quella di non tradire il personaggio di Hugo Koblet. Un’impresa riuscita?

M.B.: Devo dire che questo film-documentario è molto fedele al personaggio. Attraverso le immagini d’epoca e i racconti di coloro che lo hanno conosciuto – dallo stesso Ferdi Kübler o al cronista Sepp Renggli – il film ripercorre i momenti gloriosi del ciclista. Ma la vita di Hugo Koblet è stata caratterizzata da alti e bassi e la fiction – molto ben interpretata da Manuel Löwensberg (nei panni di Hugo) e Sarah Bühlmann (Sonja) – ci mostra un Hugo Koblet confrontato con alcune debolezze del suo carattere. Un uomo troppo buono e incapace di dire no, come è stato più volte definito e come si sottolinea anche nel film.

Nato a Zurigo nel 1925 da una famiglia di panettieri, Hugo Koblet ha mosso i suoi primi passi in bicicletta andando a consegnare pane e dolci a domicilio.

Ottiene la prima vittoria da dilettante nel 1942, all’età di 17 anni.

Nel 1947 passa a professionista e si impone nel Giro dei Quattro cantoni e nella prima tappa del Tour de Suisse.

Escluso dalla squadra svizzera, nel 1950 Koblet partecipa al Giro d’Italia con un’equipe italiana e nella sorpresa generale riesce a superare campioni come Coppi e Bartali aggiudicandosi il torneo.

È il primo ciclista straniero a vincere il Giro d’Italia. Un’impresa che non gli riuscirà più: nel ’53 e nel ’54 giunge infatti secondo.

Nel 1951 si aggiudica il Tour de France e i cronisti lo soprannominano “Pédaleur de charme”.

In carriera, Koblet ha al suo attivo 197 vittorie, tre al Tour de Suisse (1950, ‘53 e ’55).

Nel 1954 sposa la fotomodella Sonja Bühl – grande amore della sua vita – e dieci anni dopo, a pochi mesi dalla separazione, muore schiantandosi contro un albero.

swissinfo.ch: Koblet e Kübler sono probabilmente i due più grandi ciclisti della storia svizzera. Uomini molto diversi, eppure molto vicini. Che tipo di relazione li univa?

M. B.: La mia è una risposta che si basa soprattutto sulle testimonianze di Kübler, che era un grande ammiratore di Koblet. Talvolta la stampa li chiamava “nemici”, ma loro hanno sempre contestato questa definizione. Siamo avversarsi, dicevano, ma siamo anche legati profondamente da un destino comune che è l’amore per il ciclismo e il nostro talento.

Più volte Kübler mi ha ripetuto che forse se non ci fosse stato Koblet al suo fianco non avrebbe vinto tutto ciò che ha vinto in quegli anni. La loro era una competizione sana, che li spingeva a dare il meglio di sé stessi.

swissinfo.ch: Che cosa ha significato per la Svizzera del dopoguerra assistere alla vittoria di Hugo Koblet al Giro d’Italia?

M. B.: Eravamo tutti sbalorditi. Nessuno si aspettava una tale impresa. C’ero anch’io a Locarno quando Koblet vinse la sesta tappa, partita da Torino, e poi andò a conquistare la maglia rosa a Roma davanti a Gino Bartali. Era l’anno santo e Koblet non fu soltanto il primo ciclista straniero a vincere il Giro d’Italia, ma anche il primo ad essere ricevuto da Papa Pio XII. L’Italia sportiva era disorientata di fronte a questo ciclista venuto dal nulla a portar via la maglia rosa agli idoli di casa Fausto Coppi e Gino Bartali.

swissinfo.ch: Hugo Koblet debutta come commentatore sportivo proprio al suo fianco, per la cronometro di Lugano del 1961. Che tipo di collega era?

M. B.: Era innanzitutto un cronista tecnico, che dava dei giudizi con la massima spontaneità e conoscenza di tutti i dettagli del mestiere. Un uomo anche in questa funzione molto onesto e attento alle difficoltà che la professione del ciclista implicava. Fu proprio grazie a Sepp Renggli che Hugo Koblet iniziò la sua carriera di cronista e lo fece al mio fianco.

Non era un uomo polemico per il puro gusto della polemica, ma sapeva dare valutazioni veramente intelligenti. Devo dire che se sono riuscito a diventare un apprezzato cronista sportivo è anche grazie al contributo di Koblet, col quale ho fatto squadra per tre anni.

swissinfo.ch: Il film di Daniel von Aarburg mostra anche un Hugo Koblet fragile di fronte alla tentazione del doping…

M. B.: In una serata tra amici intimi, Hugo Koblet si disse spaventato dall’ingerenza sempre più pesante degli sponsor che chiedevano risultati e visibilità in cambio dei soldi investiti. Quegli stessi sponsor che nel film lo spingono ad assumere una dose eccessiva di “medicine” e “stimolanti” per guarire da un’influenza, provocandogli invece una riduzione della capacità polmonare che segnerà il declino della sua carriera.

Il ciclismo è uno sport genuino, che avrebbe bisogno di ritrovare la forza per resistere alle insidie della chimica e dei grandi e spesso facili guadagni.

Nato e cresciuto a Coira, Daniel von Aarburg studia germanistica e filosofia a Zurigo, poi regia all’ECAL di Losanna.

Dal 1995 è attivo come cineasta e collaboratore culturale indipendente del canale televisivo della Svizzera tedesca SF.

Il suo nome è legato a diversi documentari sul tema della migrazione: “Ina, Amer & Elvis” (2005), “Si pensava di restar poco” (2003) e “Letters To Srebrenica” (1996).

Sul set, Hugo Koblet è interpretato da Manuel Löwensberg, figlio del consigliere federale Moritz Leuenberger.

Lo staff del film ha voluto rendere omaggio al “Pédaleur de Charme”, con un mini Tour de Suisse: Zurigo-Coira, Coira-Malvaglia (con il Lucomagno) e questa mattina Malvaglia-Locarno con una deviazione sul Monte Ceneri dove c’è il monumento che lo ricorda (voluto dall’Associazione ex corridori ciclisti ticinesi).

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