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Dove i rifugiati fanno rinascere i castagneti

Reportage da Ormea, il comune piemontese che per accogliere i richiedenti asilo ha trasformato una casa per anziani in centro di accoglienza e avviato progetti di inclusione in collaborazione con la Scuola forestale. L'iniziativa ha dato vita a una cooperativa agricola. Ma questa storia apparentemente di successo non fa l'unanimità.

Il 26 novembre del 2016 Matteo Salvini si trovava a Mondovì, città piemontese in provincia di Cuneo, durante il suo tour contro il referendum costituzionale. Dopo un breve comizio con il megafono, all’allora eurodeputato della Lega arrivò un foglio da alcuni sostenitori: lo lesse e scoppiò a ridere, per poi posare per una fotografia che lo ritrae con il cartello in mano. C’era scritto: “A Ormea i rifugiati sono una risorsa (ha detto il sig. sindaco), lo possono testimoniare alcune troie del posto che fino ad ora hanno usufruito di queste risorse. Sarebbe utile che l’amministrazione comunale chiedesse al prefetto l’invio di diverse rifugiate (massimo trent’anni) così anche i mariti beneficerebbero di suddette risorse”.

#ledonnediOrmea, la rivolta social

Il video, pubblicato in diretta su Facebook dallo staff dello stesso Salvini, passò inosservato. A più di due anni dalla pubblicazione, però, è tornato di attualità grazie a un tweet di denuncia dell’ex magistrato Gianrico Carofiglio e ha suscitato diverse polemiche.

“Questo foglio racchiude tutto quello che vogliamo combattere, la violenza verbale, razzista e sessista che colpisce indiscriminatamente”, spiega Cinzia Michelis, portavoce del gruppo #ledonnediOrmea, un movimento apolitico fondato a gennaio 2019 proprio in risposta ai “pesanti insulti di Salvini nei confronti delle donne, dei migranti e delle immigrate”. Inizialmente lanciato come un hashtag su Twitter, dove ha raccolto migliaia di condivisioni, #ledonnediOrmea è diventato un collettivo che oggi si oppone all’urlo scomposto, alla denigrazione, all’ingiuria e all’insulto come mezzo per esprimere un’opinione.

2015: il no di Ormea ai migranti

Per capire il motivo di quel foglio occorre fare un passo indietro di un ulteriore anno, alla fine di agosto del 2015. Fu allora che a Ormea, per la prima volta, si sparse la voce dell’arrivo di una trentina di richiedenti asilo. Un’ipotesi mal vista dalla popolazione: un imprenditore si propose alla Prefettura, offrendo come sistemazione l’albergo nel centro del paese in cambio della quota di 35 euro al giorno per ospite. Il timore aumentò al punto che qualcuno suggerì di pagare di tasca propria il proprietario dell’hotel pur di evitare che i migranti finissero davvero lì, trasformando il no di Ormea, in quei mesi di emergenza umanitaria nel mar Mediterraneo, in un caso mediatico nazionale.

“Inizialmente, in paese, c’era diffidenza e anche un po’ di ostilità – spiega oggi il sindaco di Ormea, Giorgio Ferraris. Il timore era che l’arrivo di rifugiati potesse compromettere l’economia locale basata sul turismo”. A risolvere la situazione, quell’autunno di tre anni fa, fu il Comune: decise di occuparsi in prima persona dei rifugiati trasformando una casa di riposo in un centro di accoglienza straordinaria (Cas) in grado di ospitare 36 persone. 

I primi progetti di inclusione

“Di norma la Prefettura richiede ai Cas l’erogazione di servizi minimi come il vitto, l’alloggio, l’insegnamento delle basi dell’italiano e di alcuni aspetti normativi come il funzionamento del rinnovo del permesso di soggiorno – spiega l’ex dipendente del centro di accoglienza Paola Colombo – ma visto che l’attesa della risposta alle richieste di asilo dura mesi, a volte anni, abbiamo pensato di fare qualcosa di più utile sia per gli ospiti del centro che per la comunità di Ormea che li ospita”. 

Così, in collaborazione con la Scuola Forestale del paese, a giugno 2016 il centro di accoglienza ha lanciato un primo progetto di recupero del bosco di castagni. “Nel secolo scorso i castagneti rappresentavano un reddito importantissimo per gli abitanti di questa valle – racconta il docente Piero Bologna – e dopo decenni di abbandono abbiamo deciso di ripulirli e farli rinascere con l’aiuto dei migranti. La scuola ha fornito un supporto tecnico, ma la cosa più bella è stata vedere la facilità di integrazione tra studenti e rifugiati. Credo che anche noi docenti abbiamo imparato qualcosa da quella esperienza”.

2018/19: rinasce l’agricoltura montana

“L’iniziativa ha avuto successo al punto che molti privati ci hanno chiesto di andare a ripulire i boschi di loro proprietà – spiega Colombo – ma per poterlo fare regolarmente abbiamo dovuto creare una cooperativa”. 

Ad aprile 2018 è così nata la cooperativa agricola di comunità La volpe e il mirtillo che si occupa di contrasto all’abbandono del terreno: pulizia dei boschi, taglio degli alberi e messa in sicurezza di sentieri, oltre a piccoli lavoro di ristrutturazione dei tradizionali muretti a secco. Presidente della cooperativa è proprio Paola Colombo: “Ci occupiamo anche di raccogliere e far seccare le garessine, una varietà di castagne bianche tipica della Valle Tanaro, e di fornire la frutta alle aziende che poi le rivendono”.

Le elezioni di maggio e le perplessità

“Io non sono razzista ma abbiamo già i nostri problemi, non ne servono altri”, dice una signora seduta nell’angolo di piazza Libertà che guarda il fiume Tanaro. Quella che le fa compagnia sulla panchina invece si schiera più apertamente: “Io sono razzista – chiarisce lei – e mi chiedo: se invece di spendere tremila euro a testa per viaggiare verso l’Italia non potrebbero metterli insieme per crearsi un lavoro laggiù?”. Non vogliono parlare davanti alla telecamera: “Siamo in minoranza” e quindi è meglio non esporsi, sostiene una delle due. Spiegano che gli ospiti del centro di accoglienza “non lavorano. Rifacessero almeno i muretti a secco che sono rovinati, invece se ne stanno lì seduti fuori sulle sedie con tre telefoni per volta, di quelli grandi”.

A maggio Ormea eleggerà il sindaco: mentre il primo cittadino in carica Giorgio Ferraris ribadisce che “rifarebbe tutto”, il consigliere d’opposizione Paolo Gai che probabilmente lo sfiderà spiega che “il modello va sicuramente rivisto”, anche se “non è un argomento prioritario in campagna elettorale”.

L’ultima tappa è il bar: “Non voglio rilasciare interviste perché mi pento di quello che ho detto alla televisione quando è venuta qua nel 2015”, spiega un signore con la barba e un cappello largo marrone. Avrà circa settant’anni: “Ero contrario – spiega – quello che non si conosce fa paura. Ma quei ragazzi non danno fastidio a nessuno”.

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