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Il supermercato dell’estremo

Un turismo incontrollato ha trasformato l'Everest in un immondezzaio, dove si sta in colonna per raggiungere la vetta. E spesso si muore.

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Lattine, bottiglie, escrementi, bombole d’ossigeno e tanta tanta plastica. Ci sono volute sei settimane e 14 uomini per raccogliere i rifiuti accumulati in questi anni sull’Everest. Rifiuti che lo scioglimento del ghiaccio ha fatto riaffiorare anche dal passato, insieme a diversi corpi.

Un tempo luogo remoto e incontaminato oggi l’Everest è diventato la discarica di più alta quota al mondo. Questo è il risultato di decenni di spedizioni di alpinismo a scopo turistico. Un turismo non solo poco rispettoso dell’ambiente, ma anche dei pericoli della montagna.

E negli ultimi giorni 11 persone sono morte sull’Everest, spesso per mancanza di ossigeno dovuta anche alle lunghe attese. La foto della coda di persone in cima alla vetta scattata la scorsa settimana ha fatto il giro del mondo. In pochi giorni 800 persone hanno raggiunto gli agognati 8’848 metri.

La via verso la cima dell Everest intasata come una strada di città
Keystone / Nirmal Purja

Un’impresa che una volta era solo per pochi e che oggi viene venduta a chiunque sia disposto a pagare decine di migliaia di franchi pur di raggiungere il tetto del mondo. Scalatori inesperti che spesso sottovalutano la fatica di camminare in salita anche 15 ore a meno 20 gradi e in carenza di ossigeno. Condizioni estreme a cui si possono aggiungere tutti gli imprevisti del caso, incluso il mal di montagna, spesso all’origine dei malori letali.

Un business pericoloso che ha creato non pochi problemi alle autorità nepalesi, sotto accusa per aver rilasciato troppi permessi di scalata. Un business alimentato dalla sete di un essere umano sempre più ambizioso e sempre meno cosciente dei propri limiti.

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