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Successioni nel Governo federale, i giochi si fanno seri

In questi giorni si sta chiudendo il cerchio delle candidature alla successione in Consiglio federale di Johann Schneider-Ammann e Doris Leuthard.

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Le speculazioni sui papabili che potrebbero prendere il posto dei due uscenti sono iniziate poche ore dopo l’annuncio delle loro dimissioni.

Per la successione del liberale radicale (destra) Johann Schneider-Ammann circolano tre nomi. Il più accreditato è quello della ‘senatrice’ sangallese Karin Keller-Sutter, già candidata nel 2010. A sfidarla ci sono due uomini, Hans Wicki, proveniente dal cantone Nidvaldo, e Christian Amsler, originario del cantone Sciaffusa.

Il prossimo 5 dicembre le due camere del Parlamento dovranno anche eleggere il successore della popolare democratica (centro) Doris Leuthard. In lizza vi sono per ora la vallesana Viola Amherd, la cui candidatura è stata ufficializzata proprio martedì, la basilese Elisabeth Schneider-Schneiter, l’urana Heidi Zgraggen e lo zughese Peter Hegglin.


Ma perché in Svizzera la sostituzione di un ministro assume una tale importanza? In questo articolo pubblicato prima dell’ultima elezione in Consiglio federale – quella che ha visto uscire vincitore il ticinese Ignazio Cassis – vi spieghiamo alcune particolarità del sistema politico svizzero e del suo governo collegiale.

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Perché tanto clamore per l’elezione d’un ministro?

Questo contenuto è stato pubblicato al Da tre mesi, l’attualità politica svizzera vive al ritmo della successione di Didier Burkhalter. Qualche chiave di lettura per spiegare questo trambusto. Cosa succederebbe se un ministro italiano, francese, tedesco o di qualsiasi altro paese al mondo comunicasse le sue dimissioni? E se il capo del governo nominasse un nuovo ministro? Il tema sarebbe tra i piatti forti dell’edizione serale del telegiornale e l’indomani la notizia si ritroverebbe sicuramente sulle prime pagine dei giornali. Magari anche il giorno successivo se il rimpasto concerne un ministero importante. Poi però basta. A meno che non vi sia odore di scandalo, al massimo una settimana dopo non se ne parla più. In Svizzera, la sostituzione di un consigliere federale – un ministro, appunto – è invece un ‘feuilleton’ che si protrae per mesi! Dal 14 giugno scorso, quando il ministro degli affari esteri Didier Burkhalter ha annunciato le sue dimissioni con effetto a fine ottobre, un giorno sì e l’altro pure giornali, televisioni, riviste, siti internet, ecc. analizzano, psicanalizzano, scompongono, approfondiscono…Tutti possono candidarsi Secondo la Costituzione, ogni cittadino che ha il diritto di voto è eleggibile in Consiglio federale. Per la successione di Didier Burkhalter, i Servizi del parlamento hanno ricevuto 11 candidature di persone sconosciute al mondo della politica, stando quanto indicato giorni fa all’agenzia telegrafica svizzera da Karin Burkhalter, portavoce dei Servizi del parlamento. Ad ogni elezione queste candidature “selvagge” sono circa una dozzina, precisa ancora Karin Burkhalter. Le candidature sono custodite in un raccoglitore messo a disposizione dei parlamentari. “Capita che alcuni di loro vengano a consultare i dossier, soprattutto per curiosità”, precisa la portavoce dei Servizi del parlamento. E soprattutto danno il via al toto-candidati. Appena poche ore dopo le dimissioni di Burkhalter, è iniziato a circolare il nome del parlamentare federale ticinese Ignazio Cassis. Poi nel corso dell’estate se ne sono aggiunti altri. E naturalmente per ognuno di essi il ‘battage’ è ripartito alla grande: quali sono le qualità e i difetti dell’uno e dell’altro? A quali interessi privati è legato costui? E perché non si dovrebbe eleggere una lei per garantire una equa rappresentanza dei sessi? Ma non è giunto il momento di uno svizzero italiano in Consiglio federale, che manca dal 1999? Insomma, nel tritacarne politico e mediatico è passato tutto quello che poteva passare. Alla fine, a contendersi il posto di Didier Burkhalter sono rimasti in tre: il gran favorito Ignazio Cassis, la parlamentare federale del cantone Vaud Isabelle Moret e il consigliere di Stato (ministro cantonale) di Ginevra Pierre Maudet. A questo punto, la domanda che un osservatore esterno potrebbe porsi è più che legittima: ma sono pazzi questi svizzeri? Perché così tanto fracasso per quello che da noi può riassumersi tutt’al più in un mini-rimpasto di governo? In ordine sparso, qualche chiave di lettura per capire un po’ meglio gli arcani della politica svizzera e del suo (strano) sistema di governo. Eletto dal parlamento Dalla fondazione dello Stato federale nel 1848, il governo svizzero – il Consiglio federale – è composto di sette membri, eletti dal parlamento e non dal popolo. Un aspetto che può sembrare paradossale nel paese della democrazia diretta, dove i cittadini sono chiamati alle urne più volte l’anno. Per spiegare questa situazione bisogna riposizionarsi nel contesto dell’epoca: “A quel tempo prevaleva il concetto di democrazia rappresentativa. La democrazia diretta era molto embrionale”, ha ricordato recentemente a swissinfo.ch Nenad Stojanovic, docente di scienze politiche all’università di Lucerna. Inoltre, coi mezzi di comunicazione di allora era difficile immaginare una campagna nazionale dei candidati. Nel corso degli anni l’idea di fare eleggere direttamente dal popolo l’esecutivo elvetico è rispuntata più volte, ma è sempre stata bocciata, anche in votazione popolare. L’ultima volta i cittadini si sono espressi nel 2013, affossando l’iniziativa con il 76,3% di no. Nessun capo dello Stato I sette membri del governo hanno esattamente lo stesso peso all’interno del collegio. Contrariamente a quanto accade in praticamente tutti i paesi del mondo, l’ordinamento istituzionale svizzero non prevede né un primo ministro né un capo dello Stato. Il parlamento elegge ogni anno il presidente della Confederazione. Questo incarico è però essenzialmente di rappresentanza. A parte il fatto di dirigere le deliberazioni dell’Esecutivo, il presidente – che cambia come detto ogni anno – non ha prerogative particolari; è un “primus inter pares”. In carica per una legislatura, ma… I membri del governo sono eletti dal parlamento sino alla fine della legislatura. Non essendoci il voto di fiducia, nessuno può obbligarli a partire prima di questa scadenza. All’inizio di ogni nuova legislatura, l’Assemblea federale (le due camere del parlamento riunite) procede all’elezione dei sette membri del Consiglio federale. La non-rielezione degli uscenti è un fatto molto raro: dal 1848 è successo solo dieci volte, le ultime due nel 2003 (Ruth Metzler non rieletta a favore di Christoph Blocher) e nel 2007 (Christoph Blocher non rieletto a favore di Eveline Widmer-Schlumpf). Ciò fa sì che molti consiglieri federali siedano in governo per più legislature. Tra gli attuali membri, la più ‘anziana’ è Doris Leuthard, eletta nell’esecutivo nel 2007. In passato vi sono stati casi di ministri in carica per più decenni. Nel XIX secolo Karl Schenk è stato ben 32 anni in governo (dal 1863 al 1895) e forse ne avrebbe passati anche qualcun’uno in più se la morte non lo avesse strappato al suo incarico. Nel XX secolo, Giuseppe Motta è invece stato consigliere federale dal 1911 al 1940. Anche lui è morto in carica. Questa longevità, il fatto che non possano essere destituiti e che il parlamento in generale li riconferma, fa sì che i consiglieri federali abbiano una posizione diversa rispetto ai ministri in altri paese. Da qui parte del grande interesse che suscita la loro elezione. La formula magica In altri paesi il Consiglio federale sarebbe definito un governo di coalizione. Dal 1959, infatti, l’esecutivo elvetico è composto praticamente ininterrottamente dai rappresentanti dei quattro partiti più importanti: Unione democratica di centro, Partito Socialista, Partito liberale radicale e Partito popolare democratico. È quella che in Svizzera viene chiamata la “formula magica”. Questa “formula magica”, che non poggia su nessuna base legislativa, rispecchia la volontà di adottare delle decisioni sulla base di un consenso il più ampio possibile. Senza questo ampio consenso, molte decisioni di governo e parlamento rischierebbero spesso di cozzare contro lo scoglio rappresentato da quello strumento della democrazia diretta che è il referendum. Generalmente, quando un consigliere federale dà le dimissioni, il parlamento sceglie un subentrante dello stesso partito dell’uscente. I tre principali candidati alla successione di Didier Burkhalter sono così tutti esponenti del Partito liberale radicale. Negli ultimi anni, con la crescita elettorale dell’Unione democratica di centro la “formula magica” ha subito qualche scossone. Per saperne di più potete cliccare sul video: Un governo collegiale Una volta eletti, ci si attende dai consiglieri federali che non difendano unicamente la posizione del loro partito, bensì quella dell’intero collegio. Prendendo un esempio a caso, se la maggioranza dei consiglieri federali decidesse di sopprimere l’esercito, il ministro della difesa (attualmente Ueli Maurer dell’Unione democratica di centro, che difende un esercito forte) dovrebbe piegarsi alla volontà dei colleghi e difendere davanti al parlamento (e eventualmente in un secondo tempo davanti al popolo) questa decisione. Equa rappresentanza delle regioni Ad assumere una particolare rilevanza durante questa campagna per l’elezione del successore di Didier Burkhalter è stata la questione della rappresentanza delle diverse regioni del paese. Dall’uscita di scena di Flavio Cotti nel 1999, in Consiglio federale non vi è più stato un solo rappresentante della Svizzera italiana. Per questo in molti appoggiano la candidatura del ticinese Ignazio Cassis. Proprio dal 1999, la Costituzione contempla una disposizione flessibile secondo cui “le diverse regioni e le componenti linguistiche del paese devono essere equamente rappresentate”. Dopo praticamente un ventennio durante il quale il governo è stato formato da quattro svizzeri tedeschi e da tre svizzeri francese, questa sarà la volta buona per la Svizzera italiana?

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