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Tensione alle stelle tra Turchia e Stati Uniti

Il "Sultano" alza la voce con il Leader del mondo libero. Ovvero, Erdogan minaccia Trump: "Prima che sia troppo tardi - afferma il presidente turco - Washington deve rinunciare alla falsa idea che la nostra relazione possa essere asimmetrica, e fare i conti col fatto che la Turchia ha delle alternative".

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E se non fosse stato abbastanza chiaro, aggiunge: “il fallimento (da parte Usa) nell’invertire questa tendenza all’unilateralismo e mancanza di rispetto, ci porterà a iniziare a cercare nuovi amici e alleati”.

Minaccia turca

Un monito non esattamente diplomatico, lanciato peraltro attraverso una lettera inviata probabilmente non a caso al New York Times, proprio il quotidiano che Trump odia di più. Ed è un monito che diviene pubblico dopo una pubblicizzata telefonata tra lo stesso Erdogan e Putin, in cui i due leader ieri si sono “felicitati” che i legami economici tra i due Paesi procedano in modo “positivo”, come la cooperazione nell’industria militare e nell’energia. 

Alleati NATO

Cooperazione militare che la Nato di certo non apprezza. A partire dai sistemi di difesa missilistica S-400 già acquistati dalla Turchia. Una fornitura a cui Mosca attribuisce, come ha detto lo zar del Cremlino, “la massima priorità nella sfera tecnico-militare”.

Un rapporto quantomeno anomalo, considerato che la Turchia, come alleato della Nato (di cui ha peraltro il secondo più vasto esercito, dopo gli Usa), ha un trattato di difesa reciproca con Washington, oltre ad armi nucleari americane dislocate nella base aerea di Incirlik. E il Congresso ha di recente votato per sospendere la consegna dei caccia F-35 di fabbricazione Usa ad Ankara per dare tempo al Pentagono di valutare i rischi dei crescenti rapporti della Turchia con la Russia. 

Rapporti economici

Quanto ai legami economici, c’è anche il fronte dei rapporti di Ankara con Teheran, alleata di Mosca in Siria, che per Trump sono come il fumo negli occhi. Non per nulla oggi l’Iran ha tuonato contro il presidente americano che con i dazi impone ulteriore “disagio economico” ai turchi. E poi c’è il fatto che la Turchia detiene 20 americani, tra cui Andrew Brunson, un pastore di cui Washington chiede da tempo con forza la liberazione.

In questo quadro, era prevedibile che l’uomo forte della Turchia avrebbe reagito al colpo che alzando i dazi Trump gli ha sferrato proprio nel momento in cui invece avrebbe più bisogno di aiuto. E non è neanche la prima volta, fa notare sul Nyt Erdogan, che prima rinfaccia, e poi recrimina.

Recriminazioni turche

Erdogan ricorda che nel luglio 2016 in Turchia c’è stato un tentativo di Golpe a suo dire orchestrato da Fethullah Gulen, un uomo “che guida la sua organizzazione terrorista da un compound in Pennsylvania”. E “a peggiorare le cose, non c’è stato alcun progresso sulla richiesta della Turchia di estradizione” di Gulen. 

E ancora, Erdogan ha anche da recriminare per gli aiuti Usa ai curdi in Siria, loro alleati nella guerra all’Isis: “Secondo le stime delle autorità turche, Washington ha utilizzato 5.000 camion e 2.000 aerei per consegnare armi al PYD/YPG negli ultimi anni”. Armi che poi “sono state usate per colpire civili e membri delle nostre forze di sicurezza in Siria, Iraq e Turchia”.

Erdogan continua la lista delle recriminazioni passando perfino per gli eventi a Cipro negli anni ’70, per poi concludere affermando che “nel momento in cui il male continua a nascondersi nel mondo, le azioni unilaterali contro la Turchia da parte degli Usa, nostri alleati da decenni, serviranno solo a minare gli interessi e la sicurezza americani”. Parole che inducono il New York Times a domandarsi: “La Turchia è ancora alleata dell’America?”.

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