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Dalle Officine una lezione di dignità e rispetto

Lo storico Gabriele Rossi, noto per le sue ricerche sulla storia del movimento operaio swissinfo.ch

Storico del movimento operaio, Gabriele Rossi mette in luce le dinamiche che si creano in uno sciopero e la dimensione del servizio pubblico. Ricorda inoltre che il lavoratore vuole lavorare. Sciopera solo se è costretto.

swissinfo: Professor Rossi, spesso nel descrivere eventi di primo piano si abusa dell’aggettivo storico. Nel caso delle Officine è appropriato?

Gabriele Rossi: Lo sciopero delle Officine può essere definito un evento storico nella misura in cui è difficile, ripercorrendo il passato, ritrovare un fatto paragonabile. Bisognerebbe risalire allo sciopero generale del 1918, dove si era registrata una partecipazione popolare del medesimo genere.

swissinfo: Quanto contano i simboli in un caso come quelle delle Officine di Bellinzona, così radicate nella realtà regionale?

G.R.: I simboli contano moltissimo, anche perché ho l’impressione che stiamo recuperando un’immagine del Ticino che noi ricercatori avevamo un po’ accantonato. Eravamo passati ad una visione del Ticino come Città-regione, con un polo luganese forte, e ci eravamo dimenticati che in fondo la spina dorsale del Ticino è costituita dai traffici e quindi autostrada e ferrovia contano moltissimo.

Dal punto di vista dell’immagine la ferrovia conta ancora di più, poiché ha una storia molto più antica e un radicamento molto profondo nella popolazione. Per quanto riguarda Bellinzona, non dimentichiamoci che è una città ferroviaria, sia nella struttura urbana, sia nella mentalità della gente, sia nel modo di vivere.

swissinfo: Quanto pesa la dimensione del servizio pubblico nell’impatto e nella riuscita di uno sciopero?

G.R.: Conta perché gli interessi che si scontrano diventano tre, e non più due: da una parte l’interesse delle maestranze, dall’altra l’interesse del proprietario, la cui natura di servizio pubblico fa si che i proprietari siano in realtà gli abitanti di tutto lo Stato.

Ecco dunque che in campo ci sono tre forze e queste tre forze devono cercare di trovare un punto di incontro. Perché è chiaro che ogni sciopero richiede alla fine una contrattazione. Una contrattazione a tre diventa quindi più interessante, sebbene più complessa. La presenza di un interesse pubblico rende inoltre più facile sottolineare tutti quegli aspetti che non sono necessariamente solo economici.

swissinfo: Lo sciopero delle Officine costituisce in qualche modo una cesura nella storia del lavoro?

G.R.: L’aspetto che mi ha colpito di più da questo punto di vista, è stata la prima affermazione del consigliere federale Moritz Leuenberger quando ha detto: “Le decisioni che sono state prese su FFS Cargo sono ineluttabili”. Un’affermazione che altro non traduce se non il pensiero unico, e venendo da parte di un socialista, mi ha sinceramente sconvolto.

Ho l’impressione che questo sciopero e il sostegno che giunge da tutte le parti sulla base di un principio federalista – e quindi di richiesta di presa in considerazione di una situazione sociale e territoriale particolare – sia un primo segnale importante.

La gente ne ha davvero piene le scatole di un modo di ragionare solo in funzione dell’economia, e in particolar modo solo in funzione del profitto. Il profitto come termine assoluto di riferimento, è un disastro a livello sociale. Quindi, probabilmente, siamo di fronte ad un inizio di reazione. Si comincia anche a discutere, a scontrarsi sul senso del sindacato, e secondo me va benissimo: il sindacato deve fare sentire il proprio peso.

swissinfo: Per i sindacati le trattative costituiscono una parte importante del loro ruolo. E anche i media esercitano il loro compito. Ma che dinamiche si creano tra gli operai quando una vertenza si trascina nel tempo?

G.R.: Il lavoratore non vuole scioperare. Il lavoratore vuole lavorare. Il lavoratore è costretto a scioperare dal padrone, in questo caso da una proprietà pubblica. È quindi perfettamente normale che i dipendenti chiedano ai sindacati e ai propri rappresentanti di trattare in loro nome. E alle Officine la volontà di dialogo non è mai mancata.

Dobbiamo però renderci conto che un lavoratore che decide di scioperare, mette in gioco tutto se stesso e perciò chiede anche di essere preso sul serio, come persona e come gruppo. Lo si è visto bene, per esempio, nella reazione alla presenza degli organi di informazione. I media sono stati visti molto bene all’inizio. Da un certo punto di vista vengono visti molto bene ancora adesso, però i lavoratori si sono resi conto che ci sono degli spazi che devono essere chiusi all’esterno.

Ed è necessario che questo succeda, perché è all’interno di quegli spazi che si costruisce una dinamica. Una dinamica che è quella degli operai e non quella del pubblico. Il pubblico deve fare la sua parte, ma deve anche rispettare l’azione di chi subisce sulla propria pelle lo sciopero.

E uso il termine subire espressamente. Perché comunque vada, uno sciopero comporta delle conseguenze. Se si conclude positivamente, può lasciare anche un senso di euforia, ma qualche segno negativo rimane sempre impresso sulla pelle.

swissinfo: C’è dunque bisogno anche di riservatezza?

G.R.: Dal punto di vista operaio, nello sciopero si costruisce un gruppo che ha e deve avere una sua dinamica, chiusa rispetto all’esterno. Questi spazi sono importantissimi. Personalmente sono profondamente contrario ad ogni intromissione. Anche il fatto di filmare la riunione affinché fra trent’anni se ne abbia la traccia storica, è un errore. Un errore perché modifica inevitabilmente le dinamiche interne.

È chiaro che tra gli organi di informazione e le parti che trattano, può esserci una possibile incomprensione di fondo: i media cercano lo scoop o vogliono esseri i primi a dare le notizie, chi tratta deve invece giocare sulle sfumature e sulle strategie.

swissinfo: Indipendentemente dall’esito, che cosa avrà insegnato questo sciopero? E lei che cosa dirà ai suoi studenti?

G.R.: Ha insegnato l’importanza della dignità personale e del rispetto. Ho visto i miei studenti, che hanno visitato le Officine, rendersi conto per una volta davvero e nel profondo di loro stessi, che ci sono delle situazioni in cui la persona deve forzatamente imparare a dire no, spiegare questo suo rifiuto e lottare.

swissinfo, Françoise Gehring, Bellinzona

In collaborazione con l’Archivio di Stato del Canton Ticino e con la Fondazione Pellegrini-Canevascini (FPC), lo storico Gabriele Rossi (membro del consiglio direttivo della FPC) si occupa di raccogliere tutto il materiale sullo sciopero in corso alle Officine. Un’iniziativa per arricchire il patrimonio documentaristico sul movimento operaio della Svizzera italiana.

Imponente, come dal primo giorno. Mercoledì i ticinesi hanno confermato la loro incondizionata solidarietà ai lavoratori e alle lavoratrici delle Officine.

In piazza del Governo per manifestare anche in favore del servizio pubblico, donne, uomini, giovani e anziani si sono stretti di nuovo attorno a quello che ormai è diventato un simbolo di resistenza.

Presente in corpore anche il Consiglio di Stato del Canton Ticino, il quale ha sottolineato che la battaglia in corso non è soltanto di un’azienda, ma di tutta la Svizzera italiana e di tutto il mondo politico.

Il presidente del Governo Marco Borradori ha inoltre sottolineato che i ticinesi si sentono svizzeri, vogliono essere considerati come tali e chiedono rispetto.

Il Consiglio federale è pronto ad incontrare il governo ticinese, dando così seguito ad una lettera invitata dal Consiglio di Stato il 25 marzo scorso. La data, tuttavia, non è stata ancora fissata.

A ricevere il governo ticinese sarà la delegazione dei trasporti e comunicazioni del Consiglio federale, composta dai responsabili del dipartimento dei trasporti, della difesa e delle finanze, ossia Moritz Leuenberger, Samuel Schmid e Hans-Rudolf Merz.

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