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La Faac e il miracolo dell’Arcidiocesi di Bologna

Ereditare un’azienda multinazionale florida, liquidare eredi e soci, raddoppiare fatturato e dipendenti. Fare utili sempre maggiori. Il tutto in pochi anni. Una storia di successo. E la protagonista è l’Arcidiocesi di Bologna.

Da oltre tre anni l’Arcidiocesi di BolognaCollegamento esterno distribuisce sul territorio oltre 5 milioni di euro all’anno per aiutare i più bisognosi. Non sono soldi provenienti da raccolte fondi, da generosi benefattori locali o direttamente dal Vaticano. Sono i dividendi che ogni anno la FaacCollegamento esterno, azienda multinazionale di Bologna attiva soprattutto nell’automazione dei cancelli, versa direttamente alla Curia. E l’Arcidiocesi emiliana destina totalmente questi fondi ai più poveri e bisognosi. Nella trasparenza più totale.

Facciamo un passo in dietro

Nel marzo 2012 Michelangelo Manini proprietario della Faac, azienda fondata dal padre Giuseppe nel 1965, muore all’età di 50 anni, single e senza eredi diretti. 

Michelangelo Manini lascia alla Curia beni immobiliari, 140 milioni di liquidità e il 66% della Faac

Alla lettura del testamento restano tutti basiti: Manini lascia infatti tutti i suoi beni all’Arcidiocesi di Bologna. Nessuno se lo aspettava. Tanto meno l’allora cardinale Carlo Caffarra. Anche perché i Manini non sono annoverati tra i benefattori della curia. L’eredità si riassume in diversi beni immobiliari, 140 milioni di euro su conti bancari e soprattutto il 66% dell’azienda Faac.

La società francese dell’automazione SomfyCollegamento esterno, proprietaria del restante 34% dell’azienda offre all’Arcidiocesi emiliana circa un miliardo di euro per rilevare l’azienda. Il cardinale Caffarra rifiuta.

Nel frattempo i parenti di Manini impugnano il testamento e inizia così una battaglia legale che durerà due anni. È un periodo difficile anche per i dipendenti della Faac. Non sono rare le manifestazioni in piazza. I dipendenti temono per il futuro del loro impiego e dell’azienda stessa. Anche se la Faac continua a lavorare e fare utili.

Nel 2014 si chiude il contenzioso legale: la curia tacita i parenti con 60 milioni di euro. Un anno dopo viene liquidato anche il socio di minoranza Somfy. La Faac a questo punto diventa totalmente di proprietà dell’Arcidiocesi di Bologna.

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Una nuova partenza

Il Cardinale Carlo Caffarra, ormai prossimo alla pensione, non pensa certamente a un futuro da manager nella multinazionale. Per la gestione della Faac decide di creare un trust Collegamento esternocomposto da tre professionisti: l’avvocato Bruno Gattai, Giuseppe Berti (manager di Luxottica) e l’avvocato Andrea Moschetti. Quest’ultimo – di origini ticinesi di Brissago – assume il ruolo di presidente e anche di amministratore delegato insieme a un manager della Faac, Andrea Marcellan. Siamo nel 2015. Alla fine dello stesso anno il vescovo Matteo Zuppi succede al cardinale Carlo Caffarra. Zuppi conferma il trust.

Diocesi e business

Con la nuova proprietà il fatturato passa da 214 milioni a 427. L’utile da 27 a 43 milioni. I dipendenti sono raddoppiati e superano ora le 2500 unità. Nella sede centrale di Bologna sono attivi 350 impiegati.

Inizia una nuova primavera per la Faac e soprattutto per i suoi dipendenti. L’Arcidiocesi di Bologna, con l’arrivo di Matteo Zuppi, dà chiare indicazioni al trust circa il suo desiderio di veder coniugato lo spirito imprenditoriale che ha portato al successo economico del gruppo con lo spirito di una azienda etica, all’avanguardia nel welfare aziendale e i cui profitti vengono destinati a scopi sociali, oltre che a finanziare lo sviluppo e la crescita del Gruppo.

“Si trattava di una sfida insolita – ci racconta Andrea Moschetti – quella di riuscire a far convivere il business con la carità cristiana”.

L’arcidiocesi impone ai dirigenti dell’azienda rigide linee guida improntate sull’etica cristiana per quanto riguarda il trattamento dei dipendenti. Fino ad arrivare a un contratto integrativo aziendaleCollegamento esterno che prevede tutta una serie di vantaggi per i lavoratori e le loro famiglie. Dal bonus bebè al contributo per gli asili nido. Alle borse di studio per i dipendenti e per i loro figli. Senza dimenticare una polizza sanitaria aggiuntiva e il campo estivo gratuito per i figli dei lavoratori. “Tutti vantaggi – precisa Andrea Moschetti – che difficilmente si hanno in una normale azienda italiana”.

Intanto la Faac continua la sua storia di successo iniziata nel 1965. L’azienda ha sempre fatto utili ed è sempre stata gestita in modo oculato. Con la nuova proprietà il fatturato passa da 214 milioni a 427. L’utile da 27 a 43 milioni. I dipendenti sono ormai più di 2500, 350 dei quali nella sede centrale di Bologna.

La Faac non ha debiti e tutte le acquisizioni sono autofinanziate. Un buon 5% del fatturato è inoltre investito nella ricerca. Oggi la Faac controlla 43 aziende in tutto il mondo.

I dividendi alla diocesi

L’arcidiocesi bolognese ha deciso da subito che tutti gli utili debbano restare in azienda per investimenti, innovazioni e ricerca. “Si deve garantire un futuro alla Faac”, sottolinea il vescovo Matteo Zuppi. Il dividendo viene per contro versato interamente alla curia bolognese. Una cifra tra i 5 e i 6 milioni di euro all’anno.

Ogni anno la Curia distribuisce dai 5 ai 6 milioni di euro ai più bisognosi

“I soldi sono una tentazione e l’uomo è debole – ci racconta il vescovo Zuppi – per questo motivo abbiamo deciso di utilizzare tutto il dividendo per opere di bene in modo trasparente”. I fondi vengono destinati interamente al territorio e sono gestiti dalla Caritas. Servono per aiutare i più bisognosi. E non sono pochi. “Dobbiamo ancora affrontare le emergenze – aggiunge Zuppi – aiutare i tanti che non ce la fanno, vecchi e nuovi poveri. Cerchiamo anche di intervenire sulle cause della povertà”.

Distribuzione dei soldi

Lo scorso anno un milione e mezzo sono stati utilizzati per le famiglie bisognose (affitto, sanità, alimenti). Un altro milione è stato destinato per la formazione (ragazzi disabili, logopedia, corsi vari) e per il doposcuola. Un milione è poi stato utilizzato per “progetti lavoro” definiti con il Comune. Il resto è destinato a progetti ad hoc. Anche in questo caso le richieste provengono dai parroci, che devono giustificare ogni singolo euro alla Curia, che a sua volta verifica e poi eroga. Tutto nella trasparenza più totale. 

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