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Art Brut: il libro di pietra di Oreste Fernando Nannetti

Le iscrizioni di Nannetti sui muri dell'Ospedale psichiatrico di Volterra Pier Nello Manoni, Collection de l’Art Brut, Lausanne

La Collezione Art Brut di Losanna presenta il lavoro di Oreste Fernando Nannetti, che ha inciso per nove anni, con la fibbia del suo gilet, i muri dell'ospedale psichiatrico toscano dove era internato. Da questo gesto ribelle è nato un libro di pietra di 70 metri.

Piove sulle facciate dell’ospedale psichiatrico di Volterra, in Italia. All’esterno della Collezione Art Brut, le gocce scendono lentamente sulle fotografie in grande formato di Mario Del Curto. Svaniscono come lacrime spesse sulla pietra dell’ istituzione italiana, oramai chiusa e abbandonato. Opera sibillina e aria cupa. Un po’ come la vita di Oreste Fernando Nannetti autoproclamata “colonnello astrale”, “ingegnere astronautico minerario del sistema mentale”

Un uomo a cui all’età di 27 anni viene diagnosticata la schizofrenia, detenuto dal 1958 al 1973 nell’ospedale psichiatrico di Volterra, in Toscana. Ma, soprattutto, un diarista magistrale che durante nove anni con la punta della fibbia del suo gilet ha inciso delle iscrizioni sulle mura della sua “prigione”. «L’ardiglione, elemento dell’uniforme obbligatoria identica per tutti, che annienta identità e personalità, diventa uno strumento di libertà e diventa la chiave di uscita», ha scritto nel libretto della mostra Lucienne Peiry, direttrice della Collezione Art Brut.

La scrittura del libro di pietra

Volubile nella sua natìa Roma, Nannetti si chiude nel silenzio non appena varca la soglia dell’ospedale toscano. Userà quindi i muri che lo imprigionano  come mezzo di espressione e spazio di libertà. Comincia sempre con il tracciare la sua pagina, un grande rettangolo che accoglierà le sue incisioni affrancate. “Come una Farfalla Libero sono, Tutti sono miei e faccio Sognare tutti”.

Scrittura lapidaria, le parole che sembrano iscrizioni etrusche, intervallate da disegni, costituiscono un libro di pietra di 70 metri. Condannato a vivere chiuso con centinaia di uomini 23 ore su 24, è durante l’ ora quotidiana  di passeggiata, che Nannetti evade. Non attraversando le pareti, ma appropriandosene. «C’erano due guardie per ogni 200 uomini, siccome non dava fastidio a nessuno, lo si lasciava in pace. Anzi, era incoraggiato da un custode infermiere (Aldo Trafeli, l’unico con cui ha condiviso una certa complicità, ndr) che aveva studiato arte prima di svolgere questo lavoro», osserva Lucienne Peiry.

Una poesia libera e ribelle

Nella pietra Nannetti incide la propria identità, cifrata con lettere danzanti. Calligrafia stravagante che, una volta decifrata, lascia il posto a una poesia libera, misteriosa e ribelle. Priva di codici che impediscono al pensiero e alla scrittura di spezzarsi. Alla parole Nannetti preferisce spesso il respiro dello spazio: “Sono Materialista e Spiritualista, amo come tale il mio essere materiale perché sono grande e amorevole con il mio Spirito”.

Al centro dei suoi scritti, l’uomo, abbandonato dal padre e accolto da un ente di beneficenza all’età di sette anni, descrive se stesso, inventando una famiglia, delle origini a volte di papali o reali. Scientifico lunatico, afferma di essere collegato a onde elettriche e magnetiche. E di ricevere informazioni, “in diretta telepatica”. Evoca anche l’universo siderale e biblico, la guerra, l’erotismo, la morte. Persino la rivolta, quando parafrasa Emiliano Zapata: E’ meglio morire in piedi che vivere in ginocchio”.

Il salvataggio dell’opera

Tante parole scolpite che Pier Nello Manoni ha salvati dall’oblio. Quando nel 1979 gli viene commissionato  il compito di produrre un documentario fotografico sull’ospedale psichiatrico di Volterra prima della sua chiusura, scopre i “graffiti” del detenuto geniale. Affascinato dall’opera di questo pazzo, di notte fotografa le pagine del libro di pietra una dopo l’altra. Poi, con l’aiuto  dell’infermiere  Aldo Trafeli, cerca di decifrare le frasi enigmatiche scritte sulle pareti.

Un lavoro dettagliato che dura cinque mesi. Appassionato da questa figura, Manoni decide successivamente di realizzare con la figlia un film dedicato a Fernando Oreste Nannetti (I graffiti della Mente. N.O.F.4 Moro Secco Spinaceo). Un documentario che ha fatto conoscere in Italia l’autore di Art Brut. Poi ecco Lucienne Peiry, che ha deciso di presentare questo capolavoro.

Sette anni. Questo il tempo impiegato per preparare questa prima retrospettiva, costituita dal fac-simile del muro, da letture sonore che danno corpo a questa poesia atipica, dal modello dell’ istituzione psichiatrica e, soprattutto, dalle immagini di Pier Nello Manoni.

Vasto panorama che rende la dimensione del libro scritto da Nannetti. Opera effimera, alla lettura oggi quasi impossibile. Perché con il tempo le mura di Volterra sono andate in rovina. E le persone che venivano a prenderne dei pezzi, non hanno contribuito a preservarle. Presto l’integralità del lavoro di questa singolare introspezione, scomparirà. Ad ogni modo a Pier Nello Manoni Nannetti aveva detto che l’opera non gli apparteneva più.

Lasciando chiavi di lettura per esplorare la sua galassia, il “colonnello astrale” se n’era nel frattempo andato verso un altro mondo. “I soli le Lune e le Stelle si alzano e calano e possono assumere qualsiasi forma e qualsiasi colore”.

Infanzia. Oreste Fernando Nannetti è nato a Roma, in Italia, nel 1927. Dalla nasicta suo padre l’abbandona con la madre. A sette anni viene accolto in un istituto di beneficenza, poi viene collocato in una struttura psichiatrica per minori fino al 1942.

Internamento. A seguito di una malattia alla colonna vertebrale, viene curato in un ospedale, prima di svolgere – così pare – il mestiere di elettricista. Viene arrestato nel 1956 per aver insultato un  funzionario pubblico, poi internato in un ospedale psichiatrico: Santa Maria della Pietà a Roma.

Dal rumore al silenzio. All’età di 27 anni viene definito schizofrenico e nel suo internamento Nannetti  si mostra “loquace”. “Parla sempre a voce alta”. La sua cartella clinica contiene il termine “logorroico”. Nel 1958 viene trasferito all’ospedale psichiatrico di Volterra, in Toscana. Abbandona il linguaggio verbale. Ha contatti solo con Aldo Trafeli, infermiere-custode. Per nove anni Nannetti incide sul muro la sua esistenza. All’ospedale non riceve né visite, né notizie.

Morte. Nel 1973 lascia l’ospedale per l’Istituto Bianchi, sempre a Volterra, per poi approdare in un’altra struttura ospedaliera, dove muore nel 1994 all’età di 67 anni. Senza famiglia, solo, il giorno della sua morte, tutti i suoi effetti personali vengono bruciati. Si salvano solo le cartoline (che non sono mai state inviate) che ha scritto negli ultimi anni della sua vita.

L’ospedale di Volterra, chiuso in base alla legge Basaglia del 1978, è ora totalmente abbandonato.

Prima mondiale. La mostra retrospettiva Nannetti “Colonnello astrale” è visibile alla Collezione Art Brut di Losanna fino al 30 ottobre 2011.

È una prima mondiale ed è destinata a viaggiare in altri paesi.

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