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“La giustizia internazionale deve avere più visibilità”

Considerato uno degli ideatori del genocidio, Théoneste Bagosora (a destra) è stato condannnato all'ergastolo nel 2008 AFP

Per 15 anni, la Fondazione Hirondelle di Losanna ha seguito il lavoro quotidiano del Tribunale internazionale per il Ruanda. Un'esperienza unica che servirà come trampolino per lanciare un portale dedicato esclusivamente al monitoraggio della giustizia internazionale.

Istituito nel 1994 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in seguito al genocidio avvenuto nel paese africano, il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (TPIR) ha ormai chiuso tutti i suoi procedimenti di prima istanza. Prima di porre fine alle sue attività, la corte è ancora chiamata, entro la fine del 2014, a giudicare una quindicina di casi di impugnazione.

I giornalisti dell’agenzia Hirondelle News hanno seguito dal 1997, giorno dopo giorno, tutti i processi che hanno avuto luogo ad Arusha, nella Tanzania settentrionale. Un lavoro a lungo respiro che ha dato i suoi frutti, come spiega Jean-Marie Etter, direttore generale della Fondazione Hirondelle, intervistato in occasione del 19° anniversario del genocidio.

Il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (TPIR) è stato istituito dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite con la risoluzione 955 del 8 novembre 1994. Si tratta del secondo tribunale ad hoc creato dalle Nazioni Unite dopo quello per l’ex Iugoslavia nel 1993.

Nel 1998, condannando l’ex primo ministro ruandese Jean Kambanda al carcere a vita, il TPIR ha emesso la prima condanna per genocidio nella storia della giustizia internazionale. Per la prima volta è stata così applicata la Convenzione sulla prevenzione e la repressione dei genocidi del 1948.

Complessivamente, 65 persone sono state giudicate dal TPIR dal 1994. Il tribunale chiuderà definitivamente i battenti alla fine del 2014, dopo aver esaminato tutti i casi di appello rimanenti. Il TPIR ha finora assolto 12 persone, di cui 5 sono state in grado di trovare paesi ospitanti.

In base ad un accordo tra le Nazioni Unite e il governo della Tanzania, le persone condannate definitivamente o assolte dovranno lasciare il territorio nazionale. Solo quattro paesi, tra cui la Svizzera, hanno accettato finora di aprire le porte agli imputati assolti.

Secondo le stime delle Nazioni Unite, il genocidio ruandese ha provocato quasi 800’000 vittime tra il 6 aprile e il 4 luglio 1994, la maggior parte tutsi.

swissinfo.ch: Quale bilancio si può trarre dei 15 anni di copertura dei procedimenti del TPIR da parte dell’agenzia di stampa Hirondelle?

Jean-Marie Etter: Il nostro obiettivo era di rendere il lavoro della giustizia internazionale accessibile e comprensibile per la popolazione del Ruanda, la quale ha avuto delle difficoltà ad accettare il fatto che gli autori del genocidio venissero giudicati all’estero e da stranieri. Una sfida resa ancora più difficile dal controllo esercitato dal governo ruandese su tutte le informazioni relative al genocidio.

Date le circostanze, i risultati sono notevoli. La radio nazionale, ma anche i giornali, le radio private e i media dei paesi vicini, hanno ampiamente ridato le informazioni che l’agenzia di stampa Hirondelle ha pubblicato ogni giorno per 15 anni.

swissinfo.ch: Non è stato probabilmente facile superare il divario tra vincitori e vinti, ossia in particolare tra tutsi e hutu, che divide ancora il Ruanda, quasi 20 anni dopo il genocidio?

J-M.E.: Abbiamo potuto contare su un team di giornalisti molto competenti, formato sia da tutsi che da hutu. Sapendo che ogni virgola poteva avere conseguenze enormi, si sono impegnati per trattare il lavoro del TPIR con un approccio estremamente rigoroso e basato sui fatti, a volte in modo quasi ossessivo. Questo ha permesso all’agenzia di superare il divario e di essere universalmente riconosciuta ed apprezzata dalla comunità diplomatica e scientifica internazionale, la quale era a sua volta parzialmente divisa in due campi.

Radio Okapi

swissinfo.ch: I vostri giornalisti hanno subito pressioni o atti di censura da parte delle autorità ruandesi?

J-M.E.: Le autorità ruandesi hanno talvolta chiesto alcuni aggiustamenti, che sono stati accettati in casi giustificati, ma spesso sono stati negati. Ma, sapendo di essere osservati da vicino, i nostri giornalisti hanno dato prova di grane vigilanza in qualsiasi momento.

Oltre alla copertura dei lavori del TPIR ad Arusha, Hirondelle News è stata l’unica agenzia al mondo ad eseguire un monitoraggio accurato e completo dei Gacaca [tribunali popolari istituiti in Ruanda per giudicare quasi due milioni di hutu accusati di coinvolgimento nel genocidio e i cui ultimi verdetti sono stati pronunciati nel giugno 2012]. In questo compito, siamo stati aiutati dalle autorità, ciò che consideriamo come un riconoscimento della qualità del nostro lavoro.

swissinfo.ch: Nutre comunque dei rimpianti?

J-M.E.: La mia delusione principale riguarda la stampa occidentale, che ha seguito ben poco i lavori del TPIR. Nell’attuale logica giornalistica, un genocidio, per di più nel continente africano, non può essere “venduto” per oltre un mese. I tempi necessari per la giustizia non corrispondevano ai tempi praticati dai media, quindici anni di processi sembrano per loro un’eternità.

Nel corso del primo processo, i giornalisti stentavano a trovare posto nella sala stampa principale del TPIR ad Arusha. Oggi, i giornalisti della nostra agenzia vi si sentono alquanto soli.

Sollecitati ad esprimersi via Facebook, numerosi ruandesi non sono teneri nei confronti del Tribunale penale internazionale per il Ruanda (TPIR). Molti parlano di “fallimento”, affermando che la corte non ha condotto le indagini necessarie per far luce sul genocidio del 1994.

“La corte ha speso un sacco di soldi per giudicare, per finire, un numero ridicolo di persone”, scrive un lettore di swissinfo.ch. La giustizia internazionale ha fallito nella sua missione di rendere giustizia alle vittime, dichiara un altro ruandese. “Vari autori riconosciuti del genocidio sono stati prosciolti senza motivi chiari, non c’è stato alcun indennizzo o risarcimento per le vittime”.

La teoria di un doppio genocidio circola ampiamente tra coloro che denunciano “la giustizia internazionale, la quale si è comportata come una giustizia dei vincitori”. Il vincitore ha giudicato il perdente per difendere i propri interessi e salvaguardare il suo potere, si legge in un altro commento.

Infine, quasi 20 anni dopo il genocidio, molti sostengono che la tragedia ruandese è ancora costellata di molte zone d’ombra. “Perché non si è indagato su coloro che hanno abbattuto l’areo presidenziale, l’evento che ha scatenato il genocidio?”, si chiede un lettore.

swissinfo.ch: Questi 15 anni di lavoro rischiano di cadere nel dimenticatoio?

J-M.E:. Certo che no! Le migliaia di notizie pubblicate, soprattutto in Kinyarwanda, la lingua nazionale del Ruanda, formano un archivio unico. Cercheremo di valorizzarle, affinché possano beneficiarne anche le generazioni che non hanno vissuto il genocidio, ma anche per metterle a disposizione della comunità scientifica.

Inoltre, sin dall’inizio, volevamo fare in modo che questo progetto servisse anche come formazione specifica sul funzionamento della giustizia internazionale. I giornalisti della regione dei Grandi Laghi, del Kenya, del Sudan e della Repubblica centrafricana sono ora in grado di affrontare queste complesse problematiche.

Grazie a queste competenze e al sostegno dei partner della comunità internazionale, speriamo di lanciare entro la fine dell’anno un portale internet, che serva da punto di riferimento per seguire le attività della giustizia internazionale. Questo sito, in varie lingue, consentirà ai cittadini dei paesi interessati, ma anche ai professionisti, di trovare rapidamente tutte le informazioni sulla Corte penale internazionale (CPI) e i tribunali speciali. Per esistere, il lavoro della giustizia internazionale ha bisogno maggiore visibilità.

La Fondation Hirondelle è un’organizzazione non governativa svizzera formata da giornalisti e professionisti del campo umanitario.

Dal 1995 si occupa di creare e sostenere mezzi di informazione indipendenti e persone in zone di guerra, in situazioni di crisi endemiche o postbelliche.

La Fondazione Hirondelle sviluppa media popolari e cerca di raggiungere il più vasto pubblico possibile.

Traduzione di Armando Mombelli

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