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2002: Il rapporto Bergier

Jean-François Bergier (a destra) presenta il rapporto finale della commissione che porta il suo nome Keystone

Creata nel 1996, la Commissione di esperti Svizzera-Seconda guerra mondiale ha pubblicato il suo rapporto finale nel marzo del 2002.

Cinque anni di ricerche che hanno aperto prospettive nuove per la storiografia, senza pronunciare sentenze definitive.

Quando la Commissione indipendente di esperti Svizzera-Seconda guerra mondiale (CIE o commissione Bergier, dal nome del suo presidente) cominciò il suo lavoro, nel 1997, la Svizzera era confrontata con una vera e propria crisi storiografica.

La storia in discussione

Sotto i piedi di un passato che a lungo era stato letto seguendo le linee interpretative della neutralità e della volontà di resistenza al nazismo, si aprivano gli abissi di una storia più complessa, fatta anche di accondiscendenza verso le potenze dell’Asse, di compromessi con il nuovo ordine europeo.

Per gli storici, e per chi ne aveva seguito le ricerche fin dalla seconda metà degli anni Settanta, molti temi del dibattito apparivano dei déjà-vu. Anzi, rispetto ad alcuni aspetti meno gloriosi della storia svizzera nell’epoca del nazionalsocialismo, quali l’atteggiamento verso i profughi, alcune crepe erano apparse fin dagli anni Cinquanta nel quadro ufficiale che esaltava l’impegno umanitario della Svizzera.

Nuova nel dibattito nella seconda meta degli anni Novanta era la sua dimensione internazionale, favorita dalla fine della guerra fredda, dalla tendenza all’internazionalizzazione del diritto e da un’accresciuta capacità d’azione delle organizzazioni che rappresentano le vittime del nazismo.

Per la Svizzera, veder messa in discussione sulla stampa internazionale e persino nell’aula del Congresso degli Stati Uniti la propria interpretazione della storia fu un vero incubo. Tanto più che a quella discussione si accompagnavano concrete richieste di compensazioni economiche.

La reazione svizzera

La reazione elvetica fu a tratti convulsa, ma, a ragion veduta, efficace. L’accordo globale tra le grandi banche svizzere e le organizzazioni ebraiche nell’estate del 1998 attenuò la pressione internazionale sulla Svizzera.

All’interno della CIE, l’accordo non suscitò grandi entusiasmi. “Ci sentivamo un po’ frustrati per una decisione che riguardava fatti sui quali dovevamo ancora indagare”, racconta Esther Tisa Francini, collaboratrice della commissione e autrice, insieme ad Anja Heuss e Georg Kreis, di uno dei 25 studi che accompagnano il rapporto, dedicato al mercato dell’arte.

Ma la fine del negoziato che vedeva coinvolte le grandi banche permise alla CIE, non necessariamente addestrata alle schermaglie politiche e mediatiche, di proseguire con maggiore serenità il proprio lavoro storico. “Dopo l’accordo avevamo forse maggiore libertà nel definire le nostre ricerche”, concede Esther Tisa.

Uno sguardo complesso sulla storia

Dotata di un ampio mandato, che le consentiva un accesso privilegiato agli archivi privati – pur con i limiti di una collaborazione non sempre entusiasta da parte degli archivisti – la CIE ha saputo negli anni successivi portare avanti un’enorme mole di lavoro, approfondendo molte piste di ricerca già battute dalla storiografia e aprendone di nuove.

A chi si aspettava una sentenza di assoluzione o di condanna della Svizzera, la commissione Bergier ha risposto con un approccio complesso, differenziato. Una scelta sottolineata dalla decisione, dovuta alla pressione dei collaboratori, di pubblicare, oltre al rapporto finale di sintesi – sulle cui valutazioni non sono mancate critiche – anche 25 volumi di studi su vari aspetti controversi della storia svizzera negli anni del nazismo.

Un dibattito pubblico limitato

La formula non ha certo facilitato il lavoro dei media, confrontati con 11’000 pagine di testo. Nonostante la copertura piuttosto ampia dell’evento dopo la presentazione ufficiale del rapporto finale il 22 marzo 2002, il tema non ha resistito a lungo nelle pagine dei giornali e nelle trasmissioni radiofoniche e televisive. “Ne hanno parlato per due o tre giorni dopo la conferenza stampa, poi basta”, nota Esther Tisa. Un vero dibattito pubblico, tranne alcune eccezioni, è mancato. Forse è inevitabile che fosse così.

Ma terminando il suo mandato, la commissione ha lasciato in eredità agli storici un grande cantiere, che le scuole e le università non potranno evitare di visitare negli anni a venire, con i ritmi propri della storiografia, con atteggiamento critico e portando con sé nuovi strumenti e prospettive di ricerca. “Un buon rapporto finale è un rapporto iniziale”, osservava qualche mese Jean-François Bergier.

Andrea Tognina, swissinfo

5 anni di lavoro
costo: 22 milioni di franchi
25 volumi più il rapporto finale di sintesi
11’000 pagine

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